Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology Quadrimestrale di aggiornamento scientifico dell'Euromediterranean Paediatric Foundation
Esistono poi gli "Errori attivi" Per quanto riguarda gli errori attivi essi sono quelli pi๠facilmente individuabili in quanto fattori scatenanti dell'incidente. Si collocano a livello di persone e quindi il loro riscontro coincide spesso con l'identificazione di una responsabilità individuale. Le organizzazioni possiedono dei âsistemi di difesaâ che mirano proprio ad impedire il verificarsi degli incidenti.
Concentrando l'attenzione sugli incidenti in età pediatrica, secondo un'indagine effettuata dal National Health Service inglese , essi costituiscono il 6, 7 % di tutti gli incidenti segnalati. Secondo le stime emerse da tale studio, solo una piccola percentuale pari al 7%, si ਠverificata entro le mura domestiche o in strutture socio-sanitarie. Una percentuale molto pi๠ampia si ਠverificata in reparti di area critica, mentre il 10% si ਠverificata in ambito psichiatrico. Fortunatamente la maggior parte degli incidenti che coinvolgono neonati e bambini, non produce danni al paziente o, in molti casi, provoca danni di piccola entità . Gli errori statisticamente pi๠rappresentati variano a seconda della fascia d'età . Il 10% degli errori di terapia riguarda bambini tra 0 e 4 anni Pi๠frequenti per l'età pediatrica sono gli errori di terapia (17%), gli errori di trattamento o di procedura (13%) e gli errori di persona. Per i neonati sono pi๠frequenti gli errori di trattamento o di procedura (17%), gli errori di terapia (15%) e gli errori relativi all'accettazione, ai trasferimenti ed alla dimissione (14%). Alle origini degli eventi avversi ci sono molte possibili cause: la stanchezza dell'operatore, i difetti nella comunicazione tra le figure professionali (ad esempio una prescrizione illeggibile) o tra gli operatori ed il paziente, la mancanza di informazioni, la carenza di personale, il confezionamento dei farmaci (ad es. etichette quasi uguali per farmaci molto diversi), l'inidoneità di locali ed attrezzature, l'insufficiente addestramento. I bambini peraltro sono 3 volte pi๠esposti rispetto agli adulti ad errori terapeutici potenzialmente pericolosi.
Per ovviare a questi problemi si potrebbe intervenire tramite manovre preventive che prevedono ad esempio, tra le abitudini mediche, ad inserire nelle prescrizioni peso ed eventuali allergie del paziente, ad abolire abbreviazioni ed indicazioni generiche o quantomeno standardizzarle. Altra mossa preventiva sarebbe quella di attivare la prescrizione medica computerizzata con software che supporta le decisioni cliniche (rischi allergici, dosi, frequenza di somministrazione).
Andando ad indagare quali siano gli elementi che permettono ai bambini ed alle loro famiglie di sentirsi oggetto di cure sicure, sono emersi i seguenti dati: il linguaggio usato dal personale socio-sanitario ਠun elemento fondamentale nel rassicurare i giovani pazienti. Parlare al bambino con un linguaggio adeguato all'età e fornirgli spiegazioni complete ed esaurienti circa la diagnosi, il percorso terapeutico ed i trattamenti farmacologici a cui verrà sottoposto gli permette di sentirsi sicuro dell'efficacia delle cure. Le famiglie straniere necessiterebbero dell'effetto rassicurante di ricevere le informazioni circa la salute del bambino nella propria lingua. I genitori spesso non si sentono ascoltati dai professionisti sanitari quando hanno esposto le condizioni cliniche del figlio o l'aggravarsi della patologia di base; in queste circostanze i genitori potrebbero ritenere che i provvedimenti presi dai medici e dagli altri professionisti siano insufficienti o inadeguati. Di fondamentale importanza per evitare rischi clinici, si indicano ancora la sicurezza dell'ambiente ed il percepire che i professionisti sanitari sono vigili nel prevenire situazioni pericolose. Merita menzione il consenso informato, cardine della gestione del rischio clinico, non tanto nella consueta chiave di lettura giuridica (validità del consenso in relazione all'età , alle condizioni psicofisiche ecc.), quanto come fondamentale processo di comunicazione, nel quale il medico si gioca ampia parte della fiducia del paziente. Ciಠha notevole importanza nel prevenire azioni rivendicative, soprattutto allorquando si verifica un evento avverso. Per superare le criticità relative al momento della dimissione si dovrebbe evitare di fornire informazioni parziali, frettolose, scarsamente comprensibili, circa l'assistenza domiciliare e l'eventuale prosieguo delle cure, tenendo anche conto di quelle minoranze etniche da cui ci separano barriere linguistiche e culturali. à necessario quindi promuovere un atteggiamento attivo molto ampio, di vasti orizzonti, nella ricerca delle possibili fonti di eventi avversi per migliorare ulteriormente la sicurezza dei pazienti in età pediatrica. Il messaggio saliente che vorremmo emergesse ਠche tutte le figure professionali devono impegnarsi per evitare che si verifichino delle condizioni potenzialmente lesive per il paziente. Il medico, l'infermiere o il manager della sanità , ma anche il biologo o il farmacista sono chiamati, a livelli diversi, a prendere decisioni che possono generare criticità ed innescare conflitti. Essi sono impegnati in una continua gestione di contrasti, in cui appare preponderante il saper generare consenso piuttosto che avere potere decisionale. Per creare consenso ਠnecessario riconoscere, comprendere e neutralizzare gli eventi e le percezioni che possono generare il conflitto, o aggravarlo, rendendolo difficilmente gestibile. Il conflitto puಠessere utilmente evitato o governato attraverso l'utilizzo di tecniche di negoziazione relazionale, idonee a ridurre la criticità . Proprio la riduzione della criticità , e degli eventi a essa connessi, determina la diminuzione del danno iatrogeno, delle sofferenze inutili e delle morti evitabili che significativamente occorrono nella cura della salute. La negoziazione relazionale quindi ਠl'unica metodica capace di ridurre il rischio clinico creando valore: gestionale, economico, umano. Dalla possibilità di sviluppo di errore non ਠscevra la ricerca intesa come un'attività che si basa su regole precise che consentono di arrivare, attraverso percorsi ben definiti, a un risultato concreto, oggettivo e riproducibile: in poche parole si basa sul metodo scientifico, lo stesso introdotto nel XVI-XVII secolo da Galileo Galilei, considerato il padre della scienza moderna. Questi concetti risultano calzanti anche per la ricerca applicata o translazionale o, come si usa dire recentemente di ricerca " from bench to bedside", âdal bancone di laboratorio al letto del paziente". In realtà questo rapporto ਠbidirezionale: se da un lato il paziente, soprattutto quello con malattia rara su base genetica, ci insegna a comprendere meglio i meccanismi di funzionamento del nostro organismo (from bedside to bench), dall'altro le conoscenze che acquisiamo possono essere utilizzate per migliorare la diagnostica e la cura dei pazienti (from bench to bedside). Si tratta, in altre parole, di costruire una sorta di ponte tra la scienza e la medicina, per poter utilizzare nel modo migliore le scoperte dei ricercatori, un ponte che sia a due sensi di marcia. Il percorso tradizionale prevede che le informazioni che arrivano dal laboratorio vengano tradotte in strumenti utili da applicare al letto del paziente, cioਠalla pratica clinica di tutti i giorni, ma non ਠraro che da informazioni che arrivano dall'osservazione dei pazienti i ricercatori colgano spunti per nuovi esperimenti in laboratorio. Il concetto non ਠnuovo, ma ha assunto un significato molto diverso negli ultimi anni: fin dalla metà del secolo scorso esisteva uno stretto legame tra ricerca di base e medicina, ma oggi le due discipline viaggiano a velocità molto diverse. La ricerca di base ਠincredibilmente veloce, produce risultati a ritmi molto rapidi, mentre i tempi per portare questi risultati al letto del paziente sono molto lunghi e spesso accade che le enormi possibilità nella diagnosi o nella terapia suggerite dalla scienza non possano essere sfruttate fino in fondo dai medici che si confrontano ogni giorno con i pazienti.
Serve dunque che il medico diventi un esperto capace di tradurre in pratica le scoperte della scienza, cercando le strategie migliori per poter utilizzare âsul letto del pazienteâ l'ultima scoperta nel campo della genetica o della biologia molecolare. Ed ਠper questo che nei laboratori pi๠avanzati nascono centri specifici di ricerca traslazionale presso i quali lavorano persone capaci di camminare in equilibrio tra i due ambiti: si tratta di ricercatori che conoscono la ricerca di base, ma che hanno anche un'attenzione particolare per il paziente e una grande capacità di comprendere le necessità di chi si prende cura dei malati ogni giorno nella pratica clinica. Ci auguriamo quindi che , con animo umile, sensibile ed attento, possiamo crescere in questa nuova realtà , con questi nuovi orizzonti, tutelando i nostri pazienti, tutelando al tempo stesso la nostra professionalità .
geneticapediatrica.it trimestrale di divulgazione scientifica dell'Euromediterranean Paediatric Foundation Legge 7 marzo 2001, n. 62 - Registro della Stampa Tribunale di Messina n. 3/09 - 11 maggio 2009
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Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology
Anno III numero 2 - aprile 2011 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali
La cute come organo immune Skin as immune organ
G. L. Marseglia, A. Licari Dipartimento di Scienze Pediatriche e Patologia Umana ed Ereditaria, Università degli Studi di Pavia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo Pavia
La cute presenta numerose attività funzionali. Una delle pi๠importanti ਠla funzione di barriera di protezione nei confronti dell'ambiente esterno, garantita dai cheratinociti epidermici; il loro continuo turn-over cellulare assicura il mantenimento dell'integrità dell'epidermide e costituisce un efficiente ostacolo in grado di limitare anche la perdita di acqua e di elettroliti verso l'esterno. La presenza dei melanociti epidermici assicura la funzione di difesa nei confronti delle radiazioni ultraviolette (UV) ; la matrice extracellulare del derma conferisce l'attività di tensione elastica; inoltre la cute costituisce l'organo effettore principale del mantenimento dell'omeostasi termica e dell'equilibrio idro-elettrolitico; infine, attraverso la rete delle terminazioni nervose, consente le fondamentali attività sensoriale, conoscitiva e di comunicazione. Recentemente ਠstata definita una nuova attività funzionale, cioਠquella immunologica. La sorveglianza di un organo di cosଠgrandi dimensioni e cosଠesposto all'ambiente rappresenta una sfida unica per le cellule sentinelle ed effettrici del sistema immune. La cute, infatti, puಠdare inizio a risposte infiammatorie e immunitarie verso sostanze potenzialmente nocive che vengono a contatto con essa per penetrazione dall'esterno (proteine batteriche, micetiche, virali, apteni) o per diffusione ematogena da altri distretti dell'organismo o formatisi al suo interno (prodotti del metabolismo di alcuni farmaci). I principali protagonisti di questo scenario sono i cheratinociti, le cellule di Langerhans, le cellule dendritiche cutanee, i linfociti cutanei, i mastociti e le cellule endoteliali (Fig.1) ; queste popolazioni cellulari, tra loro integrate e correlate nel cosiddetto âsistema immunitario cutaneoâ, possono esercitare effetti biologici non solo a livello cutaneo ma anche a distanza. I cheratinociti, che costituiscono la popolazione cellulare epidermica numericamente pi๠rappresentata, sono in grado non solo di sintetizzare i principali costituenti molecolari della barriera epidermica, ma anche di intervenire attivamente nella regolazione delle reazioni infiammatorie immunomediate della cute: possono infatti esprimere molecole MHC di I classe e, in particolari condizioni di attivazione, anche molecole di II classe e alcune molecole di adesione come LFA-3 (Leukocyte Functional Antigen 3) e ICAM-1 (Intercellular Adhesione molecule 1) che interagendo con i loro ligandi naturali sui leucociti e producendo una moltitudine di chemochine, fattori di crescita e citochine richiamano nell'epidermide cellule dendritiche, linfociti T e altri leucociti; possono liberare fattori in grado di modulare la funzione delle cellule di Langerhans, oltre che l'accumulo, la sopravvivenza e l'attivazione di linfociti T nella cute; esprimono inoltre sulla loro membrana i TLR (Toll-Like Receptors), soprattutto di tipo 1, 2 e 5 che hanno un ruolo determinante nell'immunità innata in quanto, essendo in grado di riconoscere sequenze specifiche espresse dalla maggior parte dei microrganismi patogeni, attivano la produzione di peptidi antimicrobici (tra cui beta-defensine 1-3 e catelecidine LL-37) e di citochine e chemochine, come IL-8, considerata il pi๠potente fattore chemotattico per i granulociti neutrofili. Da queste considerazioni emerge quindi l'importanza del ruolo dei cheratinociti come âsensori del pericoloâ in grado di discriminare tra organismi innocui e agenti patogeni dannosi e successivamente di attivare la risposta immunitaria attraverso diversi sistemi di allarme, ad esempio attraverso l'espressione dei TLR o attraverso il complesso proteico dell'inflammasoma (Fig.2). Le cellule dendritiche svolgono il ruolo chiave di âsentinellaâ essendo strategicamente posizionate in distinti compartimenti anatomici cutanei; ciascun tipo cellulare possiede inoltre specifiche proprietà funzionali, come ad esempio la secrezione di mediatori pro-infiammatori, la produzione di IFN-1 o la presentazione dell'antigene. Le cellule dendritiche della cute e le cellule di Langerhans hanno una funzione essenziale nell'induzione delle risposte immunitarie primarie, essendo in grado di presentare l'antigene ai linfociti T e di attivare quindi la risposta linfocitaria nei confronti sia di neo-antigeni cutanei che di antigeni già riconosciuti, inibire una risposta immune parzialmente dannosa nei confronti di antigeni cutanei non pericolosi e attivare l'immunità naturale attraverso l'interazione tra peptidi microbici e TLR (Fig.3). Nella cute umana normale sono presenti numerosi linfociti che appartengono prevalentemente al fenotipo T (linfociti T cute-specifici) e sono localizzati soprattutto in sede perivascolare nel derma (98%) e solo in piccola quantità nell'epidermide (2%) ; la caratterizzazione immunofenotipica di queste cellule ha permesso di rilevare che la maggior parte di esse sono da considerarsi cellule memoria. Di recente identificazione ਠla presenza della linea cellulare T effettrice Th17 presente anche a livello cutaneo; questa popolazione cellulare, distinta dai sottotipi Th1 e Th2, ਠresponsabile della produzione di citochine infiammatorie (IL-17A, IL-17F, IL-22, e IL-26) coinvolte in diversi modelli di malattie autoimmuni, come la sclerosi multipla, l'artrite reumatoide, le malattie infiammatorie croniche intestinali e la psoriasi, cosଠcome nella risposta immune ai patogeni extracellulari (es. C. albicans, M. tuberculosis). Le cellule Th17 hanno inoltre un ruolo nella patogenesi di alcune malattie allergiche; recentemente ਠstata dimostrata la presenza dei Th17 e dell'IL-17 nei pazienti con dermatite atopica: la polarizzazione Th17 indotta dagli eosinofili sosterrebbe non solo la fase acuta della malattia ma sarebbe necessaria per il passaggio alla fase cronica, attraverso l'attivazione dei processi di rimodellamento cutaneo stimolati da citochine proinfiammatorie come IL-8, IL-6, e IL-11. Recenti evidenze hanno messo in luce una nuova popolazione di linfociti T, definiti ânon convenzionaliâ e rappresentati dalle cellule Tγδ e dalle cellule iNKT, che sembrano entrambe coinvolte nei processi di immunosorveglianza cutanea, essendo in grado di esercitare attività citolitica ed apoptosica diretta nei confronti di cellule infette o trasformate. Inoltre le cellule Tγδ ï producono fattori di crescita indispensabili per la guarigione delle ferite (Fig.4). Le cellule iNKT sono state inoltre nella patogenesi dell'asma; controverso ਠinvece il loro ruolo nella patogenesi della dermatite atopica in cui sembrerebbero giocare un ruolo essenziale nella risposta immune allergica innata: in particolare, la loro presenza sembrerebbe correlare con la gravità delle lesioni cutanee caratteristiche della malattia. I mastociti, dislocati prevalentemente in sede perivascolare, svolgono un ruolo altrettanto rilevante nella regolazione delle reazioni immunoflogistiche acute e croniche; essi, infatti, contengono nei loro granuli citochine preformate in grado di attivare le cellule endoteliali e di modulare la differenziazione dei linfociti T. Inoltre, una volta attivati, i mastociti sintetizzano chemochine e citochine che promuovono il reclutamento e l'attivazione di vari leucociti; infine, essi contraggono stretti rapporti anatomici e funzionali con le terminazioni nervose peptidergiche che, oltre a veicolare informazioni nocicettive, sono in grado di rilasciare perifericamente peptidi neuroregolatori (sostanza P, VIP, CGRP ovvero calcitonin gene-related peptide) con importanti funzioni nell'induzione e regolazione della flogosi. Le cellule endoteliali, che rivestono la superficie interna dei vasi dermici, sono provviste di numerose attività biologiche, le pi๠importanti delle quali sono la sintesi e la secrezione all'esterno di numerose molecole: componenti della matrice extracellulare, fattori della coagulazione, sostanze ad attività vasodilatante, fattori di crescita e mitogeni cellulari, citochine, chemochine e molecole di adesione; in condizioni di attivazione, inoltre, esse sono in grado di esprimere sulla loro membrana molecole di classe II e recettori per chemochine, per l'Fc delle IgG e per il C3 del complemento. Le cellule endoteliali, infine, costituiscono una barriera selettiva in grado di regolare il traffico cellulare tra torrente circolatorio e tessuti attraverso l'espressione sulla loro superficie di numerosi recettori, come quelli che possono riconoscere gli homing receptors dei linfociti, oppure le molecole di adesione presenti sulla membrana dei granulociti e dei monociti. In conclusione, le varie popolazioni cellulari che compongono il sistema immunitario cutaneo costituiscono una vera e propria unità integrata e interattiva, che da un lato mette in relazione l'organismo con l'ambiente esterno e dall'altro deve fornire una protezione adeguata nei confronti di agenti ambientali potenzialmente dannosi. Un'alterazione persistente, per motivi genetici e/o acquisiti, della regolazione reciproca di tali componenti ਠalla base di diverse patologie della cute che trovano estrinsecazione anche in età pediatrica.
Figura 1 - Anatomia della cute ed effettori cellulari, modificata da Nestle, 2009 La struttura della cute riflette la complessità delle sue molteplici funzioni: essa svolge infatti il ruolo di barriera protettiva, ਠcoinvolta nel mantenimento della temperatura corporea, nel raccogliere e trasmettere informazioni relative all'ambiente esterno e ha un ruolo attivo nel sistema immune. L'epidermide contiene lo strato basale, lo strato spinoso, lo stato granuloso e lo strato corneo, che ਠresponsabile della funzione di barriera della cute. Le cellule specializzate dell'epidermide sono rappresentate dai melanociti e dalle cellule di Langerhans. Qualche cellula T, principalmente linfociti T CD8+ citotossici, ਠpresente nello strato basale e nello strato spinoso. Il derma ਠcomposto da collagene, fibre elastiche e fibre reticolari e contiene molte cellule specializzate, come le cellule dendritiche (DC) nei vari sottotipi, incluse le DC dermiche e le DC plasmocitoidi (pDC), e i linfociti T, compresi i T helper CD4+ (Th1), Th2 e Th17, le cellule Tγδ e le iNK T (invariant NK T). Sono inoltre presenti macrofagi, mastociti e fibroblasti. I vasi sanguigni e linfatici e le fibre nervose sono inoltre presenti in tutto il derma.
Figura 2 - Cheratinociti come sensori del pericolo, modificata da Nestle, 2009 I cheratinociti svolgono il ruolo di âsensori del pericoloâ in quanto in grado di riconoscere agenti esterni e potenzialmente dannosi (come ad esempio il Lipopolisaccaride (LPS) batterico, le tossine, gli irritanti e i raggi UV) attraverso i Toll-Like Receptors (TLRs) e il complesso dell'inflammosoma. I TLRs sono recettori transmembranari presenti sulla superficie cellulare o sulla superficie del compartimento endosomiale. Il LPS stimola il TLR4; le lipoproteine batteriche e lo zymosan fungino i complessi eterodimerici formati da TLR1-TLR2 e TLR2-TLR6; la flagellina batterica attiva il TLR5; le triplette CpG non metilate presenti nel DNA funzionano come stimolatori del TLR9 endosomiale; la doppia elica RNA (dsRNA) attiva il TLR3 endosomiale; la singola elica RNA (ssRNA) attiva il TLR7. Il riconoscimento di agenti esterni attiva un meccanismo che attraverso l'attivazione di segnali cellulari culmina nella risposta immune innata ed adattativa con produzione di peptidi antimicrobici, citochine e chemochine. I cheratinociti inoltre esprimono la proteina NLRP3, che appartiene alla classe NLR (nucleotide-binding domain, leucine-rich repeat-containing), di recente identificazione , che sarebbe in grado di attivare una risposta nei confronti degli agenti esterni a livello citoplasmatico e di attivare il complesso dell'inflammosoma. Quest'ultimo rappresenta un complesso multimerico formato da una proteina NLR, da una proteina adattatrice chiamata ASC (apoptosis-associated speck-like protein) e dalla pro-caspasi 1; la sua attivazione termina nella produzione di caspasi 1 , che trasforma a sua volta a pro-IL-1ï¢ in IL-1ï¢ï biologicamente attiva.
Figura 3 - Cellule dendritiche e macrofagi, modificata da Nestle, 2009 Le cellule dendritiche (CD) cutanee possono essere classificate in base alla loro localizzazione in distinti compartimenti anatomici: le cellule di Langerhans sono il sottotipo cellulare maggiormente rappresentato nell'epidermide, dove sono costitutivamente residenti insieme ai cheratinociti; le cellule dendritiche dermiche risiedono immediatamente al di sotto della giunzione dermo-epidermica e in tutto il compartimento dermico. In base alla loro localizzazione anatomica, i diversi tipi cellulari hanno specifiche prorpietà funzionali, come la secrezione di citochine pro-infiammatorie (da parte delle CD infiammatorie), di IFN-1 (da parte delle CD plasmocitoidi) o la presentazione dell'antigene a livello cutaneo.
Figura 4 - Cellule T non convenzionali, modificata da Nestle, 2009 I linfociti T non convenzionali, come le cellule γδ T e le iNKT (invariant natural killer T) sono coinvolte nell'immunosorveglianza cutanea. Entrambi i tipi cellulari hanno proprietà citolitiche e rilasciano granzyma B e perforina e causano apoptosi di cellule infette o trasformate. Esse sono in grado di attivare le cellule dendritiche attraverso la produzione di TNF e IFN-γ. In pi๠le cellule γδ T producono fattori di crescita che sono essenziali per la riparazione delle ferite , come il fattore di crescita del tessuto connettivo (CTGF), il fattore di crescita dei 9 (FGF9) e il fattore di crescita dei cheratinociti (KGF). Infine, entrambi i tipi cellulari, Tγδ e iNKT, producono citochine che sono di solito associati ai fenotipi T helper 1 (TH1), TH2 e TH17.
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Anno III numero 2 - aprile 2011 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali
Immunogenetic classification of immune mediated disease
Tradotto e curato da: Sara Manti, Valeria Ferraà¹, Donatella Comito, Claudio Romano Dipartimento Scienze Pediatriche, UOC Genetica ed Immunologia Pediatrica, Università di Messina
Non trascurabile ਠla componente immunologica-ambientale. Ruolo chiave sembra essere svolto dalla flora batterica, che risente fortemente di disregolazioni geniche, ma anche di fattori ambientali come il tipo di alimentazione, additivi, stress, fumo, sostanze chimiche (farmaci: FANS). Sembra che una condizione di disbiosi intesa come alterazione della composizione del microbiota possa essere considerato un primum movens nella genesi di una alterata risposta immune a livello intestinale. Nel soggetto normale, infatti, il microbiota ਠcostituito da Bacteroidetes, Firmicutes e Clostridiales; questi componenti sono presenti in quantità ridotta sulla superfice mucosale in un soggetto con IBD, ove invece prevalgono Firmicutes Bacillus, Proteobacteria ed Actinobacteria.
Numerosi sono i geni candidati al determinismo delle IBD. I cromosomi su cui mappano sono 1 (TNF-R, HSPG2, UBE1L, TGF-β2, TGF-β4, E2G), 3 (CCR5, GNAI2, hMLH1, IL12A) , 4 (IL-2), 5 (CSF-2, IL3-5.2), 6 (HLA I-III, MICA, NFκB, IFN-γ R), 7 (MUC 3, EGFR, HGF) , 10 (β1-integrin), 12 (MUC 3, EGFR, HGF), 14 (TCR α and δ, Proteasome cluster, Leucotriene B4R) , 16 (IL-4R, CD10, CD11, E-caderina) , 19 (ICAM1, C3, TBXA2, LTB4H). Le analisi di associazione genetica, tramite lo studio del genoma completo, hanno identificato numerosi loci di suscettibilità , designati con le sigle da IBD1 a IBD6, rispettivamente sui cromosomi 16, 12, 6, 14, 5 e 19. Il locus IBD1, che ha mostrato la maggiore associazione, viene denominato NOD2/CARD15. Mentre il possesso di una copia dell'allele determina un piccolo aumento del rischio di sviluppare il MC (da 2 a 4 volte), il possesso di 2 copie (in omozigosi o eterozigosi composta) lo aumenta di 20-40 volte. Queste varianti genetiche alterano l'attivazione del fattore nucleare NF-kb intestinale in risposta ai lipopolisaccaridi e ai peptidoglicani batterici. Altri loci IBD possono codificare per il gene della resistenza multi-farmaco e per i cluster dei geni trasportatori di cationi organici. Solo il 20% di pazienti con MC ਠomozigote per le varianti di NOD2. Il possesso degli alleli a rischio NOD2/CARD15 ਠassociato con i fenotipi ileale e stenosante. Questi geni sono rari nei pazienti afroamericani, mentre sono presenti nel 40-50% dei pazienti caucasici. Grazie al GWAS, un ampio studio di associazione sul genoma, noto anche come complesso studio di associazione sull'intero genoma (studio WGA, o WGAS) ਠstato effettuato l'esame di tutti o la maggior parte dei geni di diversi individui per valutarne il grado di espressività . Il genoma umano contiene molti milioni di polimorfismi a singolo nucleotide, e altre migliaia di variazioni nel numero di copie di piccoli e grandi segmenti del genoma, che possono causare cambiamenti del fenotipo ed influenzare le variazioni individuali e la suscettibilità alle malattie. Studi GWAS consentono ai ricercatori di analizzare campioni di 500.000 o pi๠SNPs per ogni soggetto. Ad oggi, questi studi, hanno identificato ben >30 fattori di rischio e mappato i geni coinvolti nell'insorgenza delle IBD in età pediatrica ed adulta. Le mutazioni geniche recentemente individuate sono le seguenti: - 5p13.1 crom.: modula l'azione del PTGER4, proteina appartenente alla famiglia dei recettori accoppiati alla G-proteina. Trattasi di uno dei quattro recettori individuati per prostaglandina E2 (PGE2). Essa funge da segnale di attivazione dei linfociti T; influenza l'espressione di PGE2 e la rapida crescita cellulare in risposta all'EGR1; regola il livello e la stabilità della cicloossigenasi-2 mRNA; porta alla fosforilazione della glicogeno-sintasi/chinasi-3. - à stato ipotizzato che la stratificazione delle IBD in base all'età di esordio potrebbe identificare geni aggiuntivi associati con la flogosi intestinale. A tal fine, ਠstata effettuata un'analisi GWAS in una coorte di 1.011 individui con malattia infiammatoria intestinale ad esordio pediatrico e confrontati con 4.250 controlli. Sono stati cosଠidentificati e replicati geni significativamente associati, non noti in precedenza, sui loci dei cromosomi 20q13 e 21q22, situati, rispettivamente, vicino al TNFRSF6B e PSMG1. - SMAD3: fattore trascrizionale che regola l'espressione del TGF-β, a sua volta coinvolto nell'induzione di FOXp3. La carenza di SMAD3e/o la sua ridotta fosforilazione inducono una differenziazione dei T-naive in senso Th17 con una maggiore predisposizione allo sviluppo di malattie autoimmuni. - TNFSF11 (RANKL) : coinvolto nell'attivazione dell' NF-kb, stimola le cellule dendritiche, la proliferazione dei linfociti T-naive e loro differenziazione in Treg. I valori di tale fattore trascrizionale sono aumentati nel plasma di pazienti affetti da MC. - IL10RA IL10RB: lo studio ਠpartito da un'analisi dei collegamenti genetici e del sequenziamento genomico di due famiglie di soggetti con bambini affetti da malattie infiammatorie intestinali. Da questi studi ਠemerso che in quattro pazienti su nove con una colite precoce sono stati identificati tre distinti mutazioni omozigotiche nei geni IL10RA e IL10RB, che codificano rispettivamente per IL10R1e IL10R2. Queste stesse proteine sono responsabili della formazione del recettore interluchina-10. Di conseguenza, i segnali di quest'ultima vengono inibiti inducendo un'aumentata secrezione di fattori di necrosi tumorale e altre citochine pro-infiammatorie: l'intero sistema immunitario risulta alterato. - NCF4: la proteina codificata da questo gene ਠun componente citosolico necessario per la produzione, da parte dei fagociti, di NADPH-ossidasi, enzima importante per la difesa ospite. Questa proteina ਠpreferenzialmente espressa nelle cellule della linea mieloide. Interagisce principalmente con NCF2/p67-phox per formare un complesso con NCF1/p47-phox ed G-RAC1. Questo complesso attiva quindi il β-flavocitocromo, centro integrato di membrana catalitica del sistema enzimatico. Il dominio PX di questa proteina puಠlegare i prodotti fosfolipidi della 3-PI-chinasi. La fosforilazione di questa proteina regola negativamente l'attività dell'enzima. Le mutazioni individuate a carico di tale gene predispongono allo sviluppo di febbre, diarrea, dolori addominale, eczema, sinusite, croup e colite granulomatosa. Studi associati-Genoma (GWAS) hanno identificato un numero rapidamente crescente di varianti genetiche, circa 80, potenzialmente associabili al rischio di IBD. Questi dati recenti ultime potrebbero fornire, inoltre, la possibilità di studiare meccanismi predisponenti la malattia ed individualizzare un adeguato approccio terapeutico. I risultati hanno evidenziato l'importanza della relazione tra la risposta ai microbi intracellulari (autofagia, fagocitosi, funzione di barriera) ed immunità innata e adattativa (cellule Th17, T-reg) nella patogenesi delle IBD. Con i rapidi progressi nella genetica umana, ਠdiventato chiaro che una delle principali sfide per lo studio dei caratteri genetici ਠquello di determinare come i geni della malattia e dei loro alleli corrispondenti esercitino la loro influenza sulla biologia di salute e malattia, e come applicare la biologia al fine di prevenire la malattia stessa. à altresଠvero che terapie pi๠efficaci (comprese immunomodulatori e biologici), sono stati sempre pi๠utilizzate per il trattamento di pazienti con IBD. Recentemente, il concetto di "top down" nell'approccio terapeutico suggerisce che, se queste classi di farmaci sono utilizzati all'esordio di malattia possono modificare la storia naturale di malattia con riduzione del rischio di complicanze. Tuttavia, le terapie pi๠recenti sono costose, dotate di un aumentato rischio di infezione e di linfoma, e non efficaci su tutta la popolazione affetta. Pertanto, lo sviluppo e validazione di biomarkers di malattia in grado di distinguere fenotipi ad âaltoâ ed a âbassoâ rischio, appaiono necessari. Non si tratta di una novità ma di un approccio clinico-laboratoristico già utilizzato in altre branche mediche quali l'oncologia. Sarebbe, inoltre, opportuno analizzare popolazioni non caucasiche, giacchਠle varianti geniche afro-americane sono ben diverse da quelle caucasiche. Pertanto possono esser utili in tal senso studio condotti su gruppi familiari e su coorte.
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Review
Ossigenoterapia
Rossella Pecoraro, Tiziana Timpanaro, Papale Maria, Francesco Di Mauro1 Dipartimento di Pediatria, Università degli studi di Catania, 1Dipartimento di Pediatria 2 Università Di Napoli
Definizione L'ossigenoterapia consiste nella somministrazione di ossigeno, generalmente miscelato con aria, in circostanze patologiche che impediscono la normale ossigenazione del sangue e dei tessuti. Lo scopo dell'ossigenoterapia ਠquello di evitare l'istaurarsi dell'ipossia, aumentando la concentrazione dell'ossigeno, e quindi la sua tensione parziale negli alveoli polmonari, in modo da favorirne il passaggio dallo spazio alveolare al sangue [1]. Basi di fisiopatologia respiratoria L'insufficienza respiratoria rappresenta la principale causa di ossigenoterapia e si definisce come l'incapacità dei polmoni a soddisfare le esigenze metaboliche dell'organismo. Si verifica per riduzione della capacità del sistema respiratorio a mantenere l'omeostasi degli scambi gassosi ed ਠcaratterizzata dalla presenza di una PaO2 <60 mmHg o di una PaCO2 >50 mmHg [2]. L'alterazione pi๠comunemente riscontrata in corso di insufficienza respiratoria ਠla diminuizione della concentrazione di ossigeno nel sangue arterioso (ipossiemia), cui puಠfar seguito una anomala ossigenazione tissutale (ipossia), associata talvolta ad una ridotta eliminazione di anidride carbonica (ipercapnia). Si distinguono quattro forme di ipossia che sono riassunte nella tabella 1 [1].
Al fine di definire una corretta indicazione all'ossigenoterapia ਠnecessario distinguere l'insufficienza respiratoria in due differenti forme [tabella 2]: ⢠Insufficienza respiratoria di tipo I: definita ipossiemico e normo/ipocapnica. E' relativa a patologie delle vie aeree centrali (croup, corpo estraneo, anafilassi, tracheite/epiglottite batterica, ascesso retrofaringeo) e del parenchima polmonare (asma, bronchiolite, polmonite, edema polmonare, fibrosi cistica, displasia broncopolmonare). E' determinata da alterazioni del rapporto ventilazione/perfusione (V/Q) con persistenza di una buona perfusione in aree del polmone poco ventilate (accesso acuto d'asma, bronchiolite, malattia delle membrane ialine nel neonato) od anche da condizioni che riducono la perfusione polmonare con ventilazione conservata (embolia polmonare, cardiopatia congenita cianotica, scompenso cardiaco). In entrambi i casi l'alterazione del rapporto V/Q comporta il ritorno di sangue non ossigenato al cuore con conseguente ipossiemia. La risposta compensatoria all'ipossiemia ਠrappresentata dall'aumento della frequenza respiratoria con una conseguente maggiore eliminazione di CO2. ⢠Insufficienza respiratoria di tipo II: definita ipossiemico-ipercapnica. E' dovuta ad una condizione di ipoventilazione alveolare con conseguente incapacità del sistema respiratorio ad eliminare CO2 in modo adeguato. Si realizza pi๠frequentemente nelle condizioni che impediscono direttamente la ventilazione, quali: riduzione dell'input a livello del SNC (trauma cranico, emorragia intracranica, apnee della prematurità ) ; alterazioni delle giunzioni neuro-muscolari (danno al midollo spinale, avvelenamento da organofosfati/carbammati, sindrome di Guillain-Barrà¨, miastenia gravis, botulismo) e patologie neuromuscolari (miopatie e distrofie muscolari). Questa forma puಠinstaurarsi insidiosamente per il sopraggiungere della fatica dei muscoli respiratori come complicanza di una patologia preesistente (processo broncopneumonico acuto, stato di male asmatico, bronchiolite grave) esordita inizialmente con ipossiemia senza ipoventilazione. La sola supplementazione di ossigeno in questa forma di insufficienza respiratoria puಠnon essere appropriata. Questo ਠvero soprattutto in quelle condizioni cliniche nelle quali il soggetto si ਠadattato ad una condizione di ipercapnia cronica (come nei bambini con fibrosi cistica) ed ਠrelativamente dipendente dai chemocettori periferici ossigeno-sensibili per mantenere il drive ventilatorio. In questa forma il trattamento con solo ossigeno puಠportare ad una depressione del drive ventilatorio con aumento dei livelli di ipercapnia [1, 2]. L'insufficienza respiratoria in età pediatrica puಠessere inoltre classificata in acuta, cronica e cronica riacutizzata, in base al tempo intercorso tra la presentazione dei sintomi e il suo sviluppo. Nella forma acuta la compromissione della funzione respiratoria ਠspesso di entità grave e avviene in un periodo temporale molto breve (ore o giorni) ; nella forma cronica, invece, insorge lentamente (settimane o mesi) ed ਠdi severità minore per l'istaurarsi dei meccanismi di compenso; mentre la forma cronica riacutizzata rappresenta il deterioramento acuto di un'insufficienza respiratoria cronica [2]. Nella tabella 2 sono riportate le patologie nelle quali viene pi๠frequentemente utilizzata l'ossigenoterapia. L'inizio dell'ossigenoterapia ਠindicato per valori di PaO2 inferiori a 60 mmHg ed una SaO2 inferiore al 90%, e comunque in tutte quelle condizioni cliniche in cui ਠlegittimo sospettare una condizione di ipossia [4, 5, 6]. Quali segni clinici precoci di ipossia si possono considerare i seguenti: ⢠aumento della frequenza respiratoria e cardiaca in relazione all'età ; ⢠utilizzo dei muscoli respiratori accessori; ⢠ridotta tolleranza alla sforzo; ⢠irritabilità ; ⢠riduzione delle capacità mentali; ⢠insorgenza di crisi di apnea e bradicardia (soprattutto nei lattanti). Tra i segni pi๠tardivi si annoverano: ⢠stato confusionale; ⢠alterazioni dello stato di coscienza fino al coma; ⢠aritmie cardiache; ⢠cianosi [1, 7, 8].
La pressione parziale di O2 (PaO2) nei soggetti normali ਠinfluenzata da numerosi fattori, principalmente l'età , l'altitudine e la frazione inspiratoria di ossigeno (FiO2). La relazione esistente tra PaO2 ed Hb viene rappresentata dalla curva di dissociazione dell'Hb (Figura 1). Per le caratterisiche proprie della curva si evince che a valori di PaO2 normali (>90 mmHg) l'Hb ਠsatura al 95% e la curva assume un andamento piatto. Di conseguenza un aumento di PaO2 (per iperventilazione o per somministrazione di ossigeno esogeno) comporterà solo un minimo e poco significativo incremento della concentrazione di ossigeno nel sangue. Al contrario, per valori <60 mmHg, ogni ulteriore caduta della PaO2 produce una variazione molto marcata della SaO2 (sO2 <90%) con evidenti ricadute sull'ossigenazione tessutale (Figura 1) [1, 2].
particolarmente utile nei casi di ipossiemia in presenza di una ventilazione sufficiente, in quanto permette una precisa valutazione della FiO2 ed ਠutile anche in caso di respirazione naso buccale o prevalentemente buccale. Le maschere con reservoir esistono in due varietà : la partial re-breathing mask e la non re-breathing mask. La prima ਠsprovvista di valvole unidirezionali tra maschera e reservoir, motivo per cui una parte dei gas espirati, circa un terzo, entra nel reservoir divenendo parte della successiva respirazione, mentre i restanti due terzi vengono allontanati attraverso apposite aperture nella maschera. Con tali maschere si raggiungono FiO2 di 0, 80. La seconda invece ਠdotata di una valvola unidirezionale tra maschera e reservoir, in modo che il bambino inali solo dal reservoir e possa espirare solo attraverso valvole ad una via poste sul bordo della maschera. Un sistema di valvole di sicurezza permette inoltre all'aria di entrare nel sistema nel caso in cui la sorgente di ossigeno venisse accidentalmente sconnessa. Con tale tipo di maschera sono raggiungibili FiO2 di 0, 95. Le indicazioni maggiori per questo tipo di presidio sono tutte le situazioni acute in cui vi sia la necessità di somministrare ossigeno ad alte concentrazioni e per un breve periodo. Le tende a ossigeno sono sistemi misti che possono usare tanto tecniche ad alto flusso quanto a basso flusso. Si tratta di dispositivi in materiale plastico che avvolgono completamente il letto del paziente (tabella 3). Consentono di controllare la concentrazione di ossigeno, la temperatura e l'umidità all'interno ed hanno il vantaggio, inoltre, di evitare al paziente il fastidio dell'applicazione di cannule, cateteri o maschere. Numerosi, tuttavia, sono gli inconvenienti legati al loro utilizzo, quali la necessità di flussi di ossigeno molto alti (10-15 l/min), la necessità di molto tempo per il raggiungimento di una data FiO2, il calo repentino della FiO2 all'apertura della tenda e la difficoltosa osservazione del paziente da parte del personale medico e dei genitori [1, 74]. Nei trattamenti a lungo termine ਠprevisto l'utilizzo del sistema a basso flusso, in grado di erogare anche quantità di 0, 1 l/min, in considerazione delle esigenze e dell'età del paziente. Le fonti attualmente disponibili per la somministrazione di ossigeno domiciliare sono, attualmente, le bombole ad alta pressione (gassoso), i sistemi ad ossigeno liquido e i concentratori di ossigeno (Tabella 3). La scelta dei diversi sistemi ਠlegata, oltre ai vantaggi e svantaggi, anche all'età del paziente, al livello di autonomia ed al flusso di ossigeno necessario. I dispositivi di erogazione dell'ossigeno comunemente utilizzati sono le cannule nasali, nei bambini con vie respiratorie integre, sostituite dalle maschere facciali nei soggetti con occlusione delle narici e/o che respirano a bocca aperta. Nei bambini tracheostomizzati, invece, la somministrazione di ossigeno attraverso la cannula tracheostomica, qualora ve ne sia precisa indicazione, puಠavvenire attraverso il collegamento mediante specifiche maschere per tracheotomia; tuttavia, essendo questo presidio difficilmente fissabile in un bambino, non consentendo quindi una somministrazione precisa dell'ossigenoterapia, si puಠovviare con l'uso del ânaso artificialeâ che consiste in un filtro umidificatore passivo che prevede una presa per l'ossigeno ed un foro centrale per l'aspirazione, che risulta di fatto, quello di uso pi๠comune, in quanto pi๠pratico ed efficace. Tuttavia, per tale presidio, ਠraccomandato l'uso su pazienti con peso corporeo superiore a 15 Kg. Per i bambini di peso corporeo inferiore non risulta ci siano attualmente strumenti certificati per la somministrazione di O2 domiciliare attraverso la tracheotomia [2, 76].
Durante la ventilazione meccanica, ਠpossibile migliorare l'ossigenazione aumentando la FiO2 o la pressione media delle vie aeree. La ventilazione meccanica viene iniziata per fornire un supporto a polmoni che funzionano normalmente o per malattie che fanno diminuire la compliance (sindrome da distress respiratorio acuto, atelettasia, polmonite, edema polmonare ed emorragia polmonare) o aumentare la resistenza (asma, bronchiolite, displasia broncopolmonare, inalazione di fumo e fibrosi cistica). Le situazioni in cui i polmoni sono normali possono non richiedere supplemento di ossigeno, in caso contrario si inizia con una FiO2 al 100% per poi ridurla al 50%. Le malattie di diminuita compliance, invece, causano una ipossiemia significativa ed ਠconsuetudine iniziare con una FiO2 al 100% per poi ridurla al 60% o meno al fine di evitare la tossicità da ossigeno. Nelle malattie di aumentata resistenza, infine, si inizia con una FiO2 al 100% riducendola lentamente al fine di mantenere un'adeguata ossigenazione ed evitando, al tempo stesso, una tossicità da ossigeno. Gli obiettivi principali della ventilazione meccanica sono: fornire un adeguato scambio di gas e favorire l'eliminazione dell'anidride carbonica senza causare un barotrauma polmonare o una tossicità da ossigeno. L'ECMO (ExtraCorporeal Membrane Oxygenation, ossigenazione di mambrana extracorporea) ਠusata nel trattamento di neonati e lattanti con insufficienza respiratoria refrattaria potenzialmente fatale che non risponde alla ventilazione meccanica e si prevede che si risolva in un breve periodo di tempo. Tuttavia a causa dei suoi rischi (da cateterizzazione vascolare e anticoagulazione) e del fatto che i suoi vantaggi rispetto al trattamento convenzionale nei pazienti non-neonatali non stati dimostrati in modo inequivocabile, le indicazioni per l'ECMO richiedono notevole esperienza, prudenza e giudizio [75, 77]. Bibliografia 1. Niccoli AA, Castellucci G. Insufficienza respiratoria e ossigenoterapia. Broncopneumologia. 2008;5-10. 2. Esposito F, Cavaliere P, Esposito I et al. Ossigenoterapia domiciliare nei bambini con insufficienza respiratoria cronica. Pneumologia Pediatrica 2009; 33: 31-42. 3. Wagstaff AT. Ossigenoterapia. In: Bersten A.D., Soni N. Oh Manuale di Terapia Intensiva. 6 th ed. Elsevier. 2010;319-31. 4. Kallstrom TJ. AARC Clinical Practice Guideline: oxygen therapy for adults in the acute care facility: 2002 revision & update. Respir Care 2002;47:717-20. 5. Duke T, Graham SM, Cherian MN. Oxygen is an essential medicine: a call for international action. 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geneticapediatrica.it trimestrale di divulgazione scientifica dell'Euromediterranean Paediatric Foundation Legge 7 marzo 2001, n. 62 - Registro della Stampa Tribunale di Messina n. 3/09 - 11 maggio 2009
Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology
Anno III numero 2 - aprile 2011 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali
Obesità infantile: natura o cultura?
Valeria Chirico, Rosangela Caruso, Carbone Maurizio, Caterina MunafಠDipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirugiche, Università di Messina
L'obesità ਠuna malattia complessa dovuta a fattori genetici, ambientali ed individuali con conseguente alterazione del bilancio energetico ed accumulo eccessivo di tessuto adiposo nell'organismo. L'obesità ਠsempre pi๠oggetto di attenzione da parte del mondo medico in quanto la sua progressiva diffusione preoccupa, tanto da essere stata definita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) un' âepidemia globaleâ. I dati forniti dall'ISTAT documentano che in Italia nella fascia di età degli 8 anni il 36% dei bambini ha problemi di eccesso di peso, di cui il 24% ਠin sovrappeso e il 12% ਠdecisamente obeso. Complessivamente ਠsempre il Meridione a presentare prevalenze di obesità e sovrappeso pi๠elevate ma, per la prima volta, si osserva un aumento del tasso di obesità nel Nord-Ovest, area tradizionalmente a pi๠bassa prevalenza, che supera quello del Centro.
Sono stati identificati quattro periodi critici per lo sviluppo dell'obesità : Vita intrauterina : Viene plasmato l'assetto metabolico del feto in relazione a quello della madre. L'esposizione del feto a ipernutrizione durante la gravidanza puಠcontribuire alla âprogrammazioneâdella regolazione metabolica del bambino nella sua vita adulta, predisponendo l'individuo all'obesità e al diabete. Allo stesso modo anche l'esposizione all'iponutrizione intrauterina ਠstata associata ad una pi๠elevata prevalenza dell'obesità nei giovani adulti. Primo anno di vita: L'elevata velocità di crescita ponderale e staturale durante il primo anno di vita, favorita da un grande apporto in calorie e nutrienti, ਠassociata al sovrappeso ed all'obesità nelle età successive. L'allattamento al seno soprattutto se prolungato per pi๠di sei mesi, ਠun fattore protettivo nei confronti dell'obesità Età prescolare: adiposity rebound: Si intende l'inversione della curva dell'adiposità che avviene fisiologicamente al sesto-settimo anno di vita. I bambini che presentano un'anticipazione dell'adiposity rebound hanno un elevato rischio di diventare obesi nelle età successive. Pubertà : In questa fase vi ਠil rischio che la deposizione di lipidi sia eccessiva, in relazione alla riduzione di attività fisica e sportiva, soprattutto nelle femmine, e al generale peggioramento delle abitudini nutrizionali tipiche dell'adolescenza, soprattutto lo snacking fuoripasto.
Le scelte nutrizionali: Tra i diversi aspetti dell'alimentazione si sta cercando di capire quali contribuiscano in modo particolare all'eccesso ponderale. Una dieta ad alto carico glicemico rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di adiposità centrale, cardiovasculopatie e diabete mellito. Gli errori alimentari maggiormente diffusi nei bambini obesi si possono cosଠriassumere: - eccessiva assunzione di cibo rispetto al consumo calorico (vita troppo sedentaria) - mancata assunzione della prima colazione - i bambini obesi che effettuano la prima colazione tendono comunque a mangiare poco al mattino - tendenza ad assumere alimenti preferibilmente nel pomeriggio e alla sera, spesso non in occasione dei pasti principali - scarso apporto di: cereali, legumi, pesce, fibra alimentare, verdura e frutta di stagione - elevato apporto di lipidi: salumi, formaggi e carne, dolci - elevato apporto di zuccheri ad alto indice glicemico (patate, pane, cereali raffinati) - preferenza per i cibi liquidi (per esempio succhi di frutta) - due condotte alimentari sembrano, in particolare, specifiche del bambino e dell'adolescente obeso: l'iperfagia e il piluccamento, spesso a connotazione familiare.
Un'iperalimentazione nei primi due anni di vita oltre a causare un aumento di volume delle cellule adipose (ipertrofia), determina anche un aumento del loro numero (iperplasia) . Numerosi sono gli studi che hanno dimostrato un'associazione positiva tra adiposità e âskipping breakfastâ. Esistono studi che dimostrano come una ricca colazione, sia in bambini normopeso che obesi, abbia un impatto significativo sull'assunzione di alimenti a pranzo riuscendo a ridurre gli eccessi nel pasto successivo. La validità della prima colazione puಠessere, quindi, individuata nella sua capacità di regolare l'assunzione calorica nei pasti successivi e nell'integrazione di alcuni micronutrienti (per esempio ferro e zinco) che altrimenti sono spesso carenti, specie nelle adolescenti. Una recente indagine longitudinale di Berkey ha studiato la frequenza di assunzione del breakfast, l'alimentazione e il BMI in una popolazione di 14 mila ragazzi tra i 9 e i 14 anni. A conferma di altri studi, si rileva che i bambini che saltano la prima colazione hanno una dieta meno salutare, caratterizzata da una maggior quota di lipidi e un pi๠basso intake di vitamine e minerali. I bambini che non mangiano mai la prima colazione sono di peso superiore ai coetanei che invece hanno l'abitudine di assumerla. Negli ultimi decenni si ਠassistito, insieme ad un generale incremento degli apporti in zuccheri a rapido assorbimento nell'alimentazione della popolazione in tutto il mondo, anche ad un progressivo aumento del consumo di bevande zuccherate. Un gruppo di 548 adolescenti ਠstato seguito per un anno e mezzo con frequenti valutazioni antropometriche e degli apporti nutrizionali. In questi ragazzi, il consumo di bevande zuccherate ਠrisultato associato all'incremento dell'adiposità nel corso dello studio. In particolare, per ogni porzione al dଠdi bevanda zuccherata consumata aumentava, dopo aggiustamento per caratteristiche antropometriche e demografiche, variabili nutrizionali e stile di vita, sia il BMI (0.24 kg/m2/porzione/die) al momento del reclutamento, che lâincremento del BMI (0.18 kg/m2/porzione/die) nel corso del follow-up. Inoltre, uno studio osservazionale prospettico ha suggerito che il rischio di sviluppo di obesità aumenta del 60 per cento nei bambini della scuola media per ogni bibita al giorno in pià¹, anche dopo la correzione per eventuali fattori confondenti. Le bibite zuccherate promuovono l'apporto energetico e l'eccessivo aumento ponderale a causa della loro influenza sul metabolismo glucidico. Per contro, il latte e lo yogurt, alimenti a basso indice glicemico, sembrano proteggere gli adolescenti in sovrappeso dal rischio di diventare obesi. Un' indagine mirata ai fuoripasto e condotta su di un campione di 1800 bambini di età compresa tra 7 e gli 11 anni reclutati nell'Italia settentrionale, centrale e meridionale, ha evidenziato un consumo medio di fuoripasto pari a 3 porzioni al giorno. I fuoripasto pi๠consumati, con apporti medi di una porzione al giorno, sono risultati le bevande zuccherate (nell'ordine succhi di frutta, the, bibite gassate) . I due rimanenti fuoripasto giornalieri sono costituiti in primis dal panino imbottito, seguito da crakers, schiacciate e frutta.
Le abitudini motorie: Oltre all'aumentato consumo di cibi ricchi di energia e ricchi di grassi, la generale tendenza alla sedentarietà ha contribuito in modo notevole al vistoso incremento della prevalenza dell'obesità . La riduzione dell'attività fisica quotidiana, causa importante dello sviluppo del sovrappeso, ਠprogressiva con l'aumentare dell'età soprattutto nelle ragazze. Esiste una relazione inversamente proporzionale tra il peso corporeo e le ore dedicate all'attività fisica la quale riveste un ruolo protettivo nei confronti dell'eccessivo incremento di peso anche nell'età infantile. L'esercizio fisico ਠdi fondamentale importanza per il bambino che cresce, in quanto, oltre a farlo dimagrire, lo rende pi๠attivo, contribuendo a ridistribuire le proporzioni tra massa magra (tessuto muscolare) e massa grassa (tessuto adiposo) . Nell'ambito delle attività sedentarie, che occupano sempre maggior spazio nella giornata dei ragazzi, televisione e computer occupano molte ore con effetti importanti: riduzione del metabolismo, visione di pubblicità alimentari, invito a mangiare, sottrazione di tempo ad attività pi๠dispendiose. Le stime pi๠recenti indicano che i bambini necessitano di un minimo di sessanta minuti di attività fisica moderata-vigorosa al giorno.
Lo stile di vita: Le persone che soffrono di insonnia, e che non dormono rispettando le canoniche 8 ore di sonno, tendono a mangiare di pi๠rischiando l'obesità . Il tutto ਠriconducibile all'azione di due ormoni chiave atti alla regolazione dell'appetito: la grelina e la leptina. La grelina aumenta le sensibilità alla fame mentre la leptina tiene sotto controllo l'appetito. Chi dorme regolarmente per cinque ore a notte ha in media il 15% di grelina in pi๠e il 15% di leptina in meno rispetto a chi dorme per otto ore. Si ਠosservato che poche ore di sonno portano a una riduzione dei livelli di leptina ed a pi๠elevati livelli di grelina. Ovviamente lo stimolo della fame generato dalla grelina ha maggiore incidenza sul rischio di obesità .
Le occupazioni durante il tempo libero: à stata pi๠volte sottolineata la correlazione tra le ore trascorse davanti alla televisione ed il grado di sovrappeso, logica conseguenza di uno squilibrio tra introito e dispendio energetico. Vari studi hanno riscontrato una relazione direttamente proporzionale tra le ore trascorse davanti alla televisione e la prevalenza dell'obesità tra i bambini in età scolare. Una recente meta-analisi ha definitivamente confermato l'associazione tra esposizione video e obesità nei bambini già da tempo riportata anche nel nostro paese . Il video, in particolare la TV, ਠun fattore di rischio sia per la sedentarietà che per il consumo di cibo.
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geneticapediatrica.it trimestrale di divulgazione scientifica dell'Euromediterranean Paediatric Foundation Legge 7 marzo 2001, n. 62 - Registro della Stampa Tribunale di Messina n. 3/09 - 11 maggio 2009
Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology
Anno III numero 2 - aprile 2011 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali
L'aerosolterapia
Laura Lo Valvo, Tiziana Timpanaro, Papale Maria Dipartimento di Pediatria, Università degli Studi di Catania
INTRODUZIONE La terapia inalatoria ha origini antiche, quando all'acqua in ebollizione erano aggiunti principi attivi o presunti tali e successivamente inalati. 1 Il primo sistema per aerosol dell'era moderna fu ideato dal Dr. John Mudge nel 1778 (Figura 1). Da allora la terapia aerosolica ha subito una notevole diffusione non solo nell'età adulta ma anche in quella pediatrica e assunto validità scientifica e terapeutica innegabili per il trattamento di numerose patologie. 2, 3 Oggi sono disponibili una vasta gamma di apparecchi (devices) che amplificano notevolmente le possibilità di scelta, ma creano allo stesso tempo dubbi e incertezze sia tra i pazienti che tra i medici. 4 Diversi studi hanno, infatti, messo in luce l'inadeguata conoscenza da parte del personale medico riguardo l'utilizzo dei devices .5-9 Risulta quindi necessaria una rivoluzione culturale che partendo dai medici porti ad una maggiore consapevolezza e competenza dei pazienti.
Confrontando i nebulizzatori classici, quelli âmiglioratiâ e quelli âattivatiâ dal respiro, questi ultimi due sono risultati superiori. In particolare, i nebulizzatori breath-enhanced hanno ridotto il tempo di trattamento, i breath-actuated hanno ridotto lo spreco di farmaco e incrementato la quota di farmaco inalata. 30, 33 Pi๠recenti sono i âmesh nebulizersâ (Figura 4) aventi come elemento pi๠importante e innovativo una membrana metallica micro perforata attraverso una tecnologia laser.
Figura 4 - esempi di "mesh nebulizers" commercializzati in Italia Un attuatore piezoelettrico, controllato da un circuito elettronico, mette in vibrazione la membrana, creando una differenza di pressione fra la camera contenente il farmaco e il nebulizzatore vero e proprio. Il farmaco allo stato liquido tende a spostarsi verso l'ambiente a pressione minore attraversando i micro fori della membrana e trasformandosi in aerosol, le cui particelle hanno dimensioni determinate dalla sezione dei micro fori stessi (Figura 5). 31
Figura 5 - Principio di funzionamento dei "mesh nebulizers" La tecnologia mesh ha dimostrato in diverse condizioni, sia in adulti che in bambini, di produrre una quantità di aerosol maggiore rispetto ai nebulizzatori tradizionali, in conseguenza della particolare modalità di produzione delle particelle respirabili, della percentuale di dose emessa e del residuo di farmaco rimanente nell'apparecchio. 34 I vantaggi offerti sono molteplici sia in termini di efficacia (basti pensare che le dimensioni delle particelle da inalare sono perfettamente predeterminate, una maggiore quota di farmaco raggiunge le basse vie aeree, con riduzione della deposizione orofaringea e degli effetti collaterali), sia in termini di compliance (portabilità , assenza di rumore, facilità d'uso). I limiti di questi apparecchi sono il costo non indifferente e il fatto che non possono nebulizzare farmaci viscosi. 31, 35 La tabella 1 mette a confronto alcuni dei nebulizzatori attualmente in commercio in Italia. UNO SGUARDO AL FUTURO: I-neb AAD System Nuovi nebulizzatori, definiti âintelligentiâ stanno per arrivare (Figura 6). 36 Essi combinano la tecnologia della membrana forata vibrante con quella AAD (Adaptive Aerosol Delivery).
Figura 6 - Il nuovo Respironics I-neb con tecnologia AAD eroga l'aerosol all'inizio dell'inspirazione Presentano numerosi vantaggi: minore volume residuo del farmaco, maggiore precisione della dose erogata in quanto si adattano al respiro del paziente senza spreco di farmaco durante l'espirazione, maggiore aderenza alla terapia grazie alla presenza di un segnale visivo, sonoro o vibratorio che informa il paziente della corretta e completa esecuzione della manovra. Si tratta di apparecchi silenziosi, portatili e ricaricabili, che consentono, tramite una singola piattaforma, la somministrazione di pi๠farmaci. La novità pi๠sorprendente e rivoluzionaria ਠla presenza di un chip di memoria che registra e trasmette i dati tramite internet ad un computer consentendo al medico di poter esaminare e monitorare in tempo reale la performance del paziente. Tramite questo sistema sono possibili anche la prescrizione e l'ordinazione elettronica del farmaco che verrà spedito a casa dalla farmacia. I primi studi hanno evidenziato il possibile utilizzo di I- neb AAD System per la somministrazione di α1-antitripsina in pazienti con Fibrosi Cistica (FC).36-39 Un altro studio ha testato questo apparecchio proprio su di un gruppo di pazienti con FC, con un evidente risparmio di tempo ed elevati livelli di compliance. 40 Recentemente, questo dispositivo ਠstato introdotto negli Stati Uniti per la somministrazione di iloprost nel trattamento dell'ipertensione polmonare, ma se risulterà realmente efficace la sua applicazione potrebbe estendersi al trattamento di tutte le patologie respiratorie. 36, 37
Tabella 3 Primo parametro da prendere in considerazione ਠl'età del paziente. Le Linee Guida SIP, facendo riferimento alle GINA 2006 (recentemente aggiornate), indicano chiaramente che fino ai 6 anni il dispositivo di prima scelta ਠil pMDI con distanziatore, mentre per i bambini che hanno pi๠di 6 anni gli spray predosati sono equivalenti agli erogatori di polvere. In tutte le età il nebulizzatore viene indicato come dispositivo di seconda scelta (tabella 4). 21, 84
Tabella 5 - Le tecniche inalatorie consigliate92 LE CARICHE ELETTROSTATICHE Quando si usa un distanziatore costruito con un materiale non conduttore, come la plastica, la presenza di cariche elettrostatiche puಠridurre la quantità di farmaco inalata e rendere di volta in volta variabile la dose somministrata. Infatti, parte del medicinale spruzzato nello spacer aderisce alle pareti e diventa indisponibile per l'inalazione. Alcuni dei nuovi distanziatori hanno limitato questo problema, per esempio NebuChamber, Vortex, Fluspacer, OptiChamber e AeroChamber Plus.2, 97 In alternativa ਠpossibile ridurre le cariche elettrostatiche con un'appropriata pulizia immergendo lo spacer in acqua con poche gocce di un detergente ionico (il comune detersivo per lavare i piatti), lasciandolo asciugare da solo, senza strofinarlo con il panno, per 12-24 ore e ripetendo tale procedura una volta a settimana (tabella 6).71, 92, 97
Tabella 7 Istruire il paziente non ਠfacile ma ਠmeglio che cambiare semplicemente il device alla prima difficoltà .4, 22 Tutti i devices richiedono una qualche spiegazione e prescrivere un device al paziente non assicura un suo corretto uso.2 à necessario un nostro cambiamento per essere sicuri che i pazienti effettuino l'aerosol terapia con appropriatezza ed efficacia ed ਠfondamentale far capire l'importanza di una terapia fatta correttamente in primis ai genitori dei nostri piccoli.22, 113 Diversi studi hanno dimostrato le scarse conoscenze teoriche e pratiche di medici, infermieri e specializzandi inerenti l'uso dello spray con il distanziatore. à importante colmare queste gravi lacune perchਠsolo un medico con corrette abilità teorico-pratiche puಠimpartire un efficace insegnamento ai propri pazienti.5-9, 92, 115 Bibliografia 1. Milanesi E, Romei I, Piacentini G. Aerosolterapia delle basse vie aeree: i presupposti fisiopatologici. PneumologiaPediatrica2003; 12: 23-7. 2. Rubin BK. 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Anno III numero 2 - aprile 2011 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali
Le Criopirinopatie
Romina Gallizzi, Antonella Talenti, Piera Vicchio, Andreea Deak, Giovanna Elisa CalabrಠUOC Genetica e Immunologia Pediatrica, Dipartimento Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche, Università di Messina
Le criopirinopatie o CAPS (cryopin-associated periodic syndromes) sono un gruppo di patologie, rare, che rientrano nelle sindromi autoinfiammatorie, caratterizzate da attacchi ricorrenti di infiammazione sistemica, con coinvolgimento di diversi tessuti, in particolar modo cute e articolazioni. Sono stati identificati tre fenotipi clinici: la FCAS, la MWS e la CINCA. Le basi immunologiche delle sindromi autoinfiammatorie, e quindi anche delle CAPS, risiedono in difetti a carico dell'immunità innata, senza alterazioni a carico dell'immunità adattativa e di conseguenza senza produzione di autoanticorpi. L'immunità innata ਠla nostra prima linea di difesa nei confronti degli agenti patogeni e di altri segnali, e il loro riconoscimento avviene tramite una serie di recettori, ovvero i Toll like Receptors, espressi sia come proteine di membrana che solubili, e alcune proteine citoplasmatiche quali i NOD-like Receptors (NLRs). Attualmente sono state scoperte 3 famiglie di NLRs: 1) i recettori NOD; 2) il dominio NATCH, la sequenza ricca di leucina, dominio pirinico (NLRPs) ; 3) le proteine che inibiscono l'apoptosi neuronale (NAIPs). La seconda famiglia, NLRPs, ਠquella pi๠numerosa e pi๠coinvolta nella fisiopatologia delle CAPS. Le proteine NLPRs 1, 2 e 3 partecipano alla formazione di un complesso proteico definito inflammasoma. NLRP3, ਠcodificata dal gene NLRP3 o CIAS1, e interagisce con altre proteine intracellulari per costituire l'inflammasoma. Quest'ultimo risulta costituito oltre che dalla proteina NLRP3, anche dalla ASC (apoptosis-associated specklike protein with a caspase recruitment domain), dalla procaspasi 1 e, in alcuni casi, da CARDINAL e, l'oligomerizzazione di questo complesso gioca un ruolo chiave nella risposta infiammatoria attraverso il clivaggio e la successiva attivazione della caspasi 1, una proteasi deputata, a sua volta, al clivaggio della pro IL1β a IL-1β [1].
Fig. 3 Solo due eventi avversi sono stati segnalati: una urosepsi ed un episodio di vertigine. L'azione terapeutica prolungata e la bassa incidenza di reazioni avverse nel sito di iniezione, conferiscono dei vantaggi nell'uso del Canakinumab rispetto ad Anakinra e Rilonacept, ai quali spesso si associa una scarsa compliance e quindi ridotta efficacia terapeutica. Ad oggi non esistono trattamenti efficaci a lungo termine per le CAPS. Quindi la terapia ਠfocalizzata su due obiettivi: il controllo degli attacchi acuti auto infiammatori e la gestione delle complicanze a lungo termine. Il Gruppo di Reumatologia Pediatrica Italiano, in atto, sta cercando di fornire un approccio condiviso volto a razionalizzare le variazioni della dose o della frequenza di somministrazione del Canakinumab nei soggetti con criopirinopatia. Bibliografia 1) The Emerging Role of Interleukin-1_ in Autoinflammatory Diseases. Helen J. Lachmann, 1 Pierre Quartier, Alexander So, and Philip N. Hawkins. ARTHRITIS & RHEUMATISM. Vol. 63, No. 2, February 2011, pp 314-324 2) Dowds TA et al. (2004). Cryopyrin-induced interleukin 1β secretion in monocytic cells: enhanced activity of disease-associated mutants and requirement for ASC. J Biol Chem 279: 21924-21928 3) Jasmin B Kuemmerle-Deschner et al. Canakinumab (ACZ885, a fully human IgG1 anti-IL-1beta mAb) induces sustained remission in pediatric patients with cryopyrin-associated periodic syndrome (CAPS).Arthritis Research & Therapy 2011, 13:R34. 4) Helen J Lachmann et al. Use of Canakinumab in the Cryopyrin-Associated Periodic Syndrome. N Engl J Med 2009;360:2416-25. 5) Helen J Lachmann et al. The Emerging Role of Interleukin-1 in Autoinflammatory Diseases. ARTHRITIS & RHEUMATISM Vol. 63, No. 2, February 2011, pp 314-324.
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Diabete insipido nefrogenico: nuova mutazione Congenital nephrogenic diabete insipidus: a new genetic mutation in a newborn
Tiziana Timpanaro, Anna Sorge, Giovanna Vitaliti, Patrizia Barone, Rosaria Garozzo U.O. Dh - Puericultura - Dipartimento di Pediatria - Università di Catania AOU âPoliclinico - Vittorio Emanueleâ di Catania
RIASSUNTO Background - L'analisi diretta del gene Avpr2 e del gene AQP2 oggi puಠessere applicate per la diagnosi di diabete insipido nefrogenico. Case report - Presentiamo un caso clinico di un bambino di 4 mesi giunto alla nostra osservazione in seguito a febbre persistente e resistente a terapia antibiotica associata ad arresto della crescita staturo -ponderale. All'esame obiettivo presentava disidratazione, febbre e sensorio integro. All'esame di laboratorio presentava ipernatremia con valori oscillanti tra 160/170 mmmol/L, peso specifico urine 1003, diuresi di circa 8ml/kg ora, osmolarità plasmatica di 341 mOsm/kg e vasopressina 31 pg/ml. E' stato eseguito il test alla desmopressina in seguito al quale non sono state riscontrate variazioni dell' osmolarità giungendo cosଠalla diagnosi di diabete insipido neurogenico. La diagnosi ਠstata successivamente confermata dall'analisi del gene AVPR2 che ha rilevato una sostituzione nucleotidica TTC 533 > TGC codone 178 corrispondente ad una sostituzione di una Phy con una Cys, mutazione mai descritta in letteratura. Conclusions - Questo report espande lo spettro delle mutazioni genetiche AVPR2 e sottolinea l'importante ruolo dei test genetici per la diagnosi definitiva. ABSTRACT Background - Nowdays the direct analysis of the arginine vasopressin V2 receptor gene and the aquaporin 2 gene can be applied for the diagnosis of nephrogenic diabetes insipidus. Case report - A Caucasian four months-old child was admitted to our Children's Hospital, University of Catania. For growth failure and persistent fever. The fever did not revert after antibiotic therapy. After physical examination his skin was dry. The neurologic examination was normal. Laboratory exams showed the presence of hypernatriemia. Urine specific weight was 1.003 and the diuresis was approximately 8 ml/kg per hour. Serum osmolality was 341 mosmol/ kg water Plasma antidiuretic hormone level was increased at 31 pg/ml. A desmopressin infusion test was administered and it did not show any variation of the urine osmolality. A diagnosis of congenital nephrogenic diabete insipidus was made and the AVPR2 gene analysis revealed a 533 TTC>TGC mutation, codon 178, corresponding to a nucleotide substitution of a Phe with a Cys. This mutation has been never described in literature. Conclusions - This report expands the genetic spectrum of AVPR2 mutations and emphasizes an important role of genetic testing for a definite diagnosis. INTRODUZIONE Il diabete insipido nefrogenico ਠuna condizione clinica caratterizzata dall'incapacità di concentrare le urine per instabilità recettoriale a livello tubulare all'ormone antidiuretico (vasopressina) (1, 2). Esistono forme congenite (90% dei casi) clinicamente indistinguibili dalle forme centrali (10% dei casi). La diagnosi ਠconfermata dal test DDAVP che dimostra il mancato aumento dell'osmolarità urinaria, nessuna variazione del volume urinario e della clearance. (3) Oggi, nella pratica clinica, ਠpossibile applicare lo studio diretto del gene per il recettore AVPR2 e AQP2 per effettuare la diagnosi differenziale del NDI. (4) Descriviamo il caso di un bambino di 4 mesi ricoverato presso il nostro presidio ospedaliero per febbre persistente, arresto della crescita ponderale e poliuria. Presenza di un quadro clinico - laboratoristico tipico di NDI ma con presenza di una nuova mutazione a carico del gene AVPR2. CASE REPORT Bambino di 4 mesi giunge alla nostre osservazione per scarso accrescimento e febbre persistente in pi๠episodi dopo la sua nascita e con temperatura max 38° resistente a terapia antibiotica (amoxicillina, ac. Clavulanico). Primo figlio di genitori non consanguinei, nato a termine dopo gravidanza decorsa fisiologicamente, da parte eutocico (peso 3, 15 kg). Anamnesi familiare negativa per patologie renali. All'età di 3 mesi in seguito a febbre persistente ed in assenza di altri segni e sintomi clinici evidenti veniva ricoverato in un ospedale vicino al nostro presidio .qui gli esami di laboratorio eseguiti risultavano nella norma ed ਠstata praticata terapia antibiotica (cefalosporine di III generazione, meticillina e claritromicina).A causa del persistente stato persistente febbrile veniva trasferito nel nostro ospedale per ulteriori accertamenti e cure del caso. Esame obiettivo: condizioni generali discrete, cute e mucose di colorito roseo pallido e disidratate, arresto staturo - ponderale con peso di 4, 680 kg (<3 °pc) e altezza di 58 cm (< 3° pc), sensorio integro e febbre 38°C. Gli esami di laboratorio eseguiti evidenziavano ipernatremia (valori oscillanti 160/170 mmol/L), peso specifico urinario 1003, osmolarità urinaria 185 mOsm/kg, osmolarità plasmatica 341 mosmol/kg ed infine ADH con valori di 31pg/ml. Durante il ricovero sono stati eseguiti esami strumentali: ecografia addome, cerebrale, ecocardiogramma, elettrocardiogramma, RMG, risultati nella norma. E' stato eseguito il test DDAVP per via nasale con nessuna modificazione dell'osmolarità plasmatica permettendoci di fare diagnosi di NDI. Fu iniziato il trattamento farmacologico infusionale con soluzione glico-salina (ev), terapia orale con idroclorotiazide a basso dosaggio (1mg/kg) e schema dietetico con ridotto apporto di sodio e proteine per un totale di 1400 liquidi/die. Nei successivi follow-up il bambino si presentava in buono stato di salute, nomale accrescimento, sensorio integro e buona idratazione senza ulteriori episodi febbrili. Per confermare la diagnosi ਠstata richiesta consulenza genetica che ha rilevato una sostituzione nucleotidica TTC 533 > TGC codone 178 corrispondente ad una sostituzione di una Phy con una Cys avvenuta con un meccanismo non noto in quanto mai descritto in letteratura. (figura 1) DISCUSSIONE Abbiamo descritto una forma di NDI congenita caratterizzata da una nuova mutazione del gene AVPR2. Il NDI ਠuna rara malattia ereditaria che si sviluppa dopo la nascita e che puಠpresentare disturbi della crescita, ritardo mentale specialmente se la diagnosi avviene tardivamente. I sintomi tipici sono la poliuria, polidipsia, ipostenuria ed episodi ricorrenti di febbre e disidratazione. (1-2). Nel nostro caso il sintomo d'esordio ਠstato la febbre persistente e resistente all'antibiotico terapia come se la malattia presentasse una forma subclinica. L'ormone antidiuretico ਠresponsabile dell'omeostasi dell'acqua, ਠsecreto dalla neuroipofisi in seguito all'aumento dell'osmolarità plasmatica; esegue il suo effetto come antidiuretico sui dotti collettori del rene legandosi al recettore legato alle proteine G presenti sulla membrana basolaterale (5). Il legame di AVP attiva il recettore V2 e provoca cambiamenti conformazionali che comportato l'attivazione di ciclasi e quindi la formazione di cAMP intracellulare di ATP, il CAMP si lega alla subunità regolamentare del cAMP-dipendente della proteina chinasi A, e la cascata di fosforilazione derivante conduce all'inserimento esocitico dell' acquaporina-2 (AQP2) (canali di acqua nella membrana luminale delle cellule principali). (6). L'acqua ਠtrasportata attraverso i canali d'acqua a causa della differenza di pressione osmotica tra il lume e l'interstizio. L'acqua esce dalle cellule attraverso i canali d'acqua AQP3 e AQP4 presenti sulla membrana basolaterale. (5). Le variazioni del recettore V2 che codificando per il gene AVPR2 sono responsabili del 90% dei casi di NDI. Variazioni nel gene che codifica AQP2 per i canali d'acqua sono responsabili del restante 10%. Il NDI ਠcausato da variazioni di AVPR2 X-linked. (7, 8), (Figura 2). Fino ad oggi, sono state riconosciute 211 varianti del gene AVPR2 a causa X-linked (Tab. 2). Solo sette di tutte le variazioni conosciute identificate nel gene AVPR2 causano un fenotipo NDI parziale, vale a dire quelli con le seguenti sostituzioni di aminoacidi: p.Asp85Asn, p.Arg104Cys, p.Arg106Cys, p.Gly201Asp, p.Phe287Leu, p.Pro322Ser, ep.Ser329Arg. (9, 10, 11, 12, 13). La conoscenza ਠlimitata sui meccanismi molecolari alla base di questo fenotipo unico, che ਠcaratterizzato da una capacità di concentrazione delle urine vicino alla normalità a livelli molto elevati di plasma AVP o 1-deamino-8-D-AVP (DDAVP) concentrazioni. Nell'analisi funzionale, le variazioni sono state classificate in cinque classi in base al loro effetto apparente sulla biosintesi del recettoreV2. Il tipo pi๠comune (fino al 70% di tutte le variazioni indagate) causa problemi al traffico intracellulare del recettore V2 variante (classe II) (5). Il risultato, in entrambi i rimanenti tipi di difetti nella sintesi di mRNA stabile (classe I), ਠil mancato aumento di cAMP intracellulare (classe III), ridotta capacità di legame ligando (classe IV), o problemi con eso o endocitosi del recettore (classe V), (14). In questo report, abbiamo descritto una nuova mutazione del gene AVPR2, causando del Diabete insipido nefrogenico. L'analisi genetica del nostro paziente ha mostrato una sostituzione di un nucleotide thyamin con una guanina (TTC 533> TGC) nel codone 178, corrispondente ad una sostituzione di una fenilalanina con una cisteina. Questa mutazione non ਠmai stata descritta in letteratura e sembra essere una mutazione de novo con analisi molecolare dei genitori normale. Il meccanismo patogenetico di questa mutazione ਠancora sconosciuto, ma nota ਠla sensibilità al trattamento con idroclorotiazide orale evidenziato dal netto miglioramento della crescita, aumento di peso, condizioni generali come nel caso in Lejarraga et al. (15). Riassumendo, abbiamo descritto un caso di un bambino con NDI causata da una nuova mutazione nel gene AVPR2 (533 TTC> TGC; Phe> Cys) ; con lo scopo di ampliare lo spettro di mutazioni genetiche di AVPR2 e sottolineare un importante ruolo di test genetici per definire la diagnosi. Inoltre gli studi dovrebbero chiarire il meccanismo patogenetico coinvolto nella regolazione della malattia, causata da questa nuova mutazione.
Image 1
Image 2
Table 1 - Results of desmopressin infusion test performed on our patient
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Anno III numero 2 - aprile 2011 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali
Trattamento antivirale e follow-up laboratoristico-strumentale in neonati affetti da infezione congenita da CMV: nostra casistica Antiviral treatment and laboratory instrumental follow-up in infants with congenital CMV infection: our series
T. Timpanaro, V. Di Stefano, S. Salafia, P. Barone, G. Scalia, R. Garozzo U.O. Dh -puericultura - Dipartimento di Pediatria - Università di Catania AOU âPoliclinico - Vittorio Emanueleâ di Catania
INTRODUZIONE Il Citomegalovirus (CMV) ਠun DNA viridae appartenente alla famiglia degli Herpesvirus caratterizzati dalla capacità , dopo un'infezione acuta, di latentizzarsi ed eventualmente di riattivarsi. La trasmissione avviene per contatto diretto il virus ਠpresente nel sangue, nella saliva, nell'urine, nelle feci, nelle lacrime, nel liquido seminale, nelle secrezioni cervico-vaginali e nel latte materno. La frequenza dell'infezione nella popolazione ਠinfluenzata da diversi fattori tra cui l'età , le condizioni socioeconomiche e l'area geografica d'appartenenza. Nei paesi industrializzati il tasso di sieropositività per CMV aumenta con l'età della donna e la parità , con una percentuale del 20% di donne in età fertile suscettibili di infezione primaria in gravidanza, evento che in realtà si verifica in circa il 5% dei casi. (tabella 1). Il rischio globale per la donna con infezione primaria di trasmetterla al figlio ਠdel 30-40%; di questi feti infetti il 10% andrà incontro ad aborti, morte fetale, malformazioni encefaliche, circa il 15% presenterà sintomi presenti nel periodo neonatale e sequele a distanza, mentre la maggior parte di essi non avrà nessuna conseguenze. Epidemiologicamente il rischio d insorgenza di embriopatia ਠnotevolmente elevato se il contagio avviene prima della 27 settimana di gravidanza. Fattori favorenti la diffusione dell'infezione materno-fetale sono: la giovane età della mamma, il basso livello socioeconomico, frequenti infezioni del tratto genitourinario, tossicodipendenza, promiscuità sessuale, attività lavorativa (personale sanitario, maestre, baby-sitter) ; età gestazionale, basso peso alla nascita. Dal punto di vista clinico l'infezione da CMV rappresenta la pi๠frequente infezione congenita e la principale causa di sordità neurosensoriale non ereditaria (SNHL).Solo il 5% dei bambini con infezione congenita presenta deficit uditivo alla nascita mentre il 58% svilupperà successivamente sordità neurosensoriale, bilaterale nel 37% dei casi. Pi๠raramente strabismo, atrofia ottica, cataratta, necrosi retinica. E' frequente il riscontro della microcefalia, (c.c.<2DS dalla media per età gestazionale) che ha il 100% di specificità e predittività per lo sviluppo di ritardo mentale; le Calcificazioni cerebrali (periventricolare e subependimale), la ventricolomegalia rappresentano le pi๠comuni anomalie neuroradiologiche riscontrate. Pi๠raramente si osservano: idrocefalia, lissencefalia, malformazioni del corpo calloso e del cervelletto e presenza di cisti cerebrali. Il neonato affetto da infezione congenita potrà presentare ipotonia, letargia ed epilessia. Le manifestazioni non neurologiche si presentano pi๠frequentemente in caso di infezione tardiva e sono rappresentate da IURG, trombocitopenia, ittero protratto, epatosplenomegalia con aumento delle transaminasi, idrope fetale non immune, polmonite interstiziale, difetti dello smalto dentario, trombosi aortica. Di notevole importanza sono gli esiti a distanza dell'infezione congenita che non sono solo appannaggio delle forme sintomatiche. Per tale motivo i neonati infetti necessitano di iter diagnostico accurato che prevede il dosaggio su sangue funicolare di IgG IgM e PCR-DNA. (qualitativo e quantitativo) su sangue, saliva, urine, eseguita entro 20 giorni dalla nascita. Emocromo con formula leucocitaria, AST, ALT, bilirubina totale e frazionata; controllo clinico-auxologico. Gli esami strumentali previsti sono l'Ecotransfontanellare, visita oculistica con fundus, otoemissioni fino al 4 mese di vita e, successivamente, potenziali evocati uditivi. Tale iter diagnostico viene effettuato al 1, 3, 6, 12, 24 mese di vita e poi annualmente fino al 6 anno di età ; programma modificabile in relazione ad eventuali eventi patologici (tabella 2). Questo monitoraggio continuo permette di valutare l'eventuale coinvolgimento dei vari organi ed apparati e di stabilire se e quando intraprendere trattamento con Gancyclovir secondo il seguente schema posologico, 10 mg/Kg/die per 3 settimane oppure 15 mg/Kg/die per 2 settimane seguite da 15 mg/Kg a giorni alterni per 2 settimane. Tale farmaco ਠraccomandato nei casi sintomatici alla nascita e in presenza di un alta carica virale nelle urine, fattore predittivo di sordità e disturbi dello sviluppo neurologico. E' stato dimostrato che il trattamento migliora l'outcome neurologico con considerevole aumento della circonferenza cranica in corso di terapia, migliora o stabilizza l'udito e aumenta l'acuità visiva. Tuttavia ਠgravato da importanti effetti collaterali (midollo osseo, fegato, gonade maschile). Il Valganciclovir, estere monovalile di GCV approvato per la terapia della retinite in pazienti HIV positivi, ci permette al dosaggio di 15-16 mg/Kg/die almeno per 6-8 settimane (effetti collaterali permettendo) di effettuare terapia per via orale. MATERIALI E METODI Lo studio epidemiologico ਠdi tipo caso-controllo retrospettivo, mediante revisione di cartelle cliniche. La popolazione in studio ਠcostituita dai neonati giunti alla nostra osservazione da Gennaio 2000 a Dicembre 2010. Presso il nostro Dipartimento di Pediatria da Gennaio 2000 a Dicembre 2010 sono giunti alla nostra osservazione 250 neonati, le cui madri avevano contratto l'infezione da CMV in gravidanza. L'89% delle madri presentava una chiara infezione da CMV e per la maggior parte di loro si trattava di una reinfezione. L'11% aveva invece uno stato immunitario poco chiaro. Dei 250 pazienti solo 17 di essi hanno intrapreso il trattamento farmacologico con Gancyclovir, 4 dei quali, per persistenza di positività del PCR e dei sintomi, hanno continuato la terapia con Valganciclovir. RISULTATI - 6 dei pazienti presentavano Emorragia intraventricolare (IVH) di 1 grado e segni di periarterite a carico delle arterie talamo striatali. Dopo il trattamento con Ganciclovir il reperto ecografico si era normalizzato;uno solo dei pazienti presentava microcefalia e infezione attiva dopo trattamento antivirale per ev e per tale motivo veniva intrapreso trattamento con Valganciclovir. Nessuno dei pazienti ha presentato sequele. - 1 caso di IUGR (peso 2750 39 sett) l'ecografia transfontanellare mostrava IVH di I grado. Eseguito trattamento con Valganciclor sospeso alla terza somministrazione per volontà dei genitori dopo insorgenza di evento avverso (orticaria diffusa). A distanza di 2 anni la piccola ha presentato Ipoacusia neurosensoriale destra di grave entità . - 3 casi di Encefalite multifocale virale trattata con Gancyclovir non rilevabili sequele a distanza. - 1 caso di prematurità nata (36°w) dopo gravidanza decorsa con riscontro alla 28°w, di dilatazione ventricolare e ipoplasia del corpo calloso. L'Eco cerebrale confermava la dilatazione ventricolare, ਠstata sottoposta a terapia con Ganciclovir, Non ha presentato sequele. 2 casi IUGR con microcefalia che hanno presentato sindrome convulsiva trattata con Topiramato. Uno dei due pazienti ha praticato terapia con con Ganciclovir seguito da Valganciclovir non ha presentato sequele. L'altro ha manifestato grave anemia nomrmocitica (Hb 7, 5 g/dl) tale da dover sospendere la terapia. In questo caso ਠstata riscontrata Sordità neurosensoriale monolaterale. (figure 1, 2, 3, 4) - 2 casi di broncopolmonite neonatale non riconducibili a distress respiratorio e 2 casi di sepsi neonatale trattati tempestivamente con Gancyclovir non hanno presentato sequele. Il resto dei pazienti non trattati farmacologicamente, per un totale di, 235, ha effettuato follow-up senza presentare manifestazioni cliniche riconducibile ad infezione congenita da CMV, ad eccezione di un paziente che, a 18 mesi di vita ha presentato Ipoacusia neurosensoriale moderata bilaterale. Il nostro studio ha avuto come scopo quello di enfatizzare l'importanza del follow-up e dell'adeguato e tempestivo trattamento nei neonati con infezione congenita da CMV; al fine di bloccare l'infezione e prevenire l'insorgenza di sequele tardive, che nel nostro studio si sono manifestate solamente in 2 pazienti con sordità neurosensoriale. Tabella 1 - Dati epidemiologici infezione CMV nei paesi industrializzati
Tabella 2 - Management del neonato
Fig. 1 - Dilatazione ventricolo laterale dx
Fig. 2 - Ipoplasia emisfero cerebellare
Fig. 3 - Lissencefalite
Fig. 4 - Calcificazioni cerebrali BIBLIOGRAFIA 1. Screening, diagnosis, and management of cytomegalovirus infection in pregnancy. Yinon Y, Farine D, Yudin MH. Department of Obstetrics and Gynecology, Sheba Medical Center, Tel Hashomer, Tel Aviv University, Israel. Obstet Gynecol Surv. 2010. 2. Anne Nassens, MD, PHD, Anne Casteels, MD, Luc Decatte, MD, PHD, And W Foulon, MD, PHD: A serologic strategy for detecting neonates at risk for congenital Cytomegalovirus infection. J Pediatr 2005;146:1 3. Paulo PaixËao, Sofia Almeida a Paula Gouveia, Sandro Binda, Simona Caroppo, Maria Barbi: Diagnosis of congenital cytomegalovirus infection by detection of viral DNA in urine pools; Journal of Virological Methods 128 (2005) 1-5l Aprile 2005 4. Surveillance of congenital cytomegalovirus in the UK and Ireland.Townsend CL, Peckham CS, Tookey PA.1MRC Centre of Epidemiology for Child Health, UCL Institute of Child Health, University College London, London, UK. 5. Antiviral therapy of CMV disease in children. Sharland M, Luck S, Griffiths P, Cotton M.Paediatric Infectious DiseasesUnit, St. George's Hospital, London, UK. 2007. 6. Ross DS, Dollard SC, Victor M, Sumartojo E, Cannon MJ. The epidemiology and prevention of congenital cytomegalovirus infection and disease: activities of the Centers for Disease Control and Prevention Workgroup. J Womens Health (Larchmt). 2006 Apr;15 (3) :224-9. 7. Prenatal diagnosis of congenital cytomegalovirus infection in 189 pregnancies with known outcome Prenat Diagn 2001 Jul;21 (7) :605.
geneticapediatrica.it trimestrale di divulgazione scientifica dell'Euromediterranean Paediatric Foundation Legge 7 marzo 2001, n. 62 - Registro della Stampa Tribunale di Messina n. 3/09 - 11 maggio 2009
Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology
Anno III numero 2 - aprile 2011 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali
Pontine Tegmental Cap Dysplasia: neurosviluppo e profilo cognitivo di un paziente adolescente Pontine Tegmental Cap Dysplasia: neurodevelopmental and cognitive profile of an adolescent patient
Marilena Briguglio1, Giuseppina Vitiello1 , Alessandro Ferraris2 , Eva Germanà²2 , Mariasavina Severino1 , Laura Bernardini3 , MD1 Emanuele David1 , Sara Loddo2 , Gaetano Tortorella2 , MD1 Silvana Briuglia1 , MD1 Carmelo D. Salpietro1 , Andrea Rossi1 , MD5 Enza Maria Valente1 1 Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche, Università di Messina, 2 Casa Sollievo della Sofferenza, Istituto CSS-Mendel, Roma, 3 Dipartimento di Neuroradiologia, IRCCS Ospedale Pediatrico Giannina Gaslini, Genova
ABSTRACT Object: Pontine Tegmental Cap Dysplasia (PTCD) is a recently described, rare disorder characterized by a peculiar cerebellar and brainstem malformation. Nineteen patients have been reported to date, of which only one in the adolescent age, and data on the clinical, cognitive and behavioural outcome of this syndrome are scarce. Methods:Here we describe one adolescent patient with PTCD, with detailed neuropsycological, neuroradiological and genetic assessment. Results: He presented bilateral deafness and multiple cranial neuropathies, variably associated with skeletal, cardiac and gastro-intestinal malformations. Feeding and swallowing difficulties, that are often causative of recurrent aspiration pneumonias and death in the first years of life, completely resolved with age. Neuropsychological assessment showed borderline to moderate cognitive impairment, with delay in adaptive functioning, visual-spatial and language deficits. The patient also showed mild behavioural problems, although their overall socialization abilities were well preserved. Fibre tractography confirmed the abnormal bundle of transversely oriented fibres forming the typical pontine âtegmental capâ and absence of decussation of the superior cerebellar peduncles, supporting the hypothesis that PTCD results from abnormal axonal guidance and/or migration. No pathogenic copy number variants (CNVs) were identified. Conclusions:These data indicate that PTCD may have a favourable long-term outcome, with borderline cognitive deficit or even normal cognition and partially preserved speech. RIASSUNTO Oggetto: La Pontine Tegmental Cap Dyspalsia (PTCD) ਠuna sindrome rara recentemente descritta, caratterizzata da una malformazione peculiare del cervelletto e del tronco encefalico. Ad oggi sono stati descritti diciannove pazienti, di cui solo uno in età adolescenziale, ed i dati clinici, cognitivi e comportamentali restano ancora scarsi. Metodi: Descriviamo in questo lavoro un paziente adolescente con PTCD, sottoposto ad accurata valutazione clinica, neuropsicologica, neuroradiologica e genetica. Risultati: Il paziente presentava sordità bilaterale e neuropatie craniche multiple. Le difficoltà di alimentazione e di deglutizione, che spesso sono causa di polmoniti ab ingestis ricorrenti e di morte nei primi anni di vita, si sono completamente risolte con l'età . La valutazione neuropsicologica ha evidenziato insufficienza intellettiva moderata, con un ritardo nel funzionamento adattivo e visuo-spaziale e disturbo del linguaggio. Il paziente presentava inoltre lievi problemi comportamentali, sebbene la socializzazione fosse preservata. La risonanza magnetica encefalica ed il relativo esame tratto grafico hanno confermato la presenza di un fascio anomalo di fibre orientate trasversalmente al ponte, che formano il tipico "cap tegmentale" diagnostico per la patologia, e l'assenza di decussazione del peduncolo cerebellare superiore. All'esame genetico non sono stati evidenziate CNVs patogenetiche. . Conclusioni: Questi dati indicano che PTCD puಠavere un esito favorevole a lungo termine, con miglioramento delle abilità quotidiane e linguaggio parzialmente conservato.
INTRODUZIONE La Pontine Tegmental Cap Dysplasia (PTCD) ਠuna sindrome rara recentemente descritta, con 19 pazienti riportati in letteratura [1-9]. Il quadro malformativo cerebrale, che ਠpatognomonico per la diagnosi di PTCD, comprende una serie di anomalie tra cui ipo-displasia del verme cerebellare, assenza delle olive inferiori e ipoplasia dei peduncoli cerebellari medi, lateralizzazione dei peduncoli cerebellari superiori con accorciamento dell'istmo ponte ventrale appiattito, e tegmento pontino a volta (il cosiddetto "tegmental cap"). Il quadro clinico ਠanche caratteristico, con la presenza di ipotonia neonatale, segni piramidali e cerebellari, deficit multipli dei nervi cranici e associate anomalie multi organo comprendenti difetti cardiaci, gastrointestinali, genitourinari e scheletrici, soprattutto delle vertebre e delle costole. Le neuropatie craniche risultano nella variabile associazione di sordità neurosensoriale, movimenti oculari anomali, opacità corneali, paralisi facciale, difficoltà di masticazione e deglutizione che possono richiedere il posizionamento di sondino naso-gastrico o gastrostomia. In molti casi ਠstato riportato grave ritardo psicomotorio, con ipoacusia bilaterale e conseguente assenza o severo disturbo del linguaggio. Tuttavia, i dati attuali sullo spettro dei deficit cognitivi di questi pazienti sono scarsi, e non sono stati riportati dettagliati follow-up neuropsicologici, specialmente a lungo termine. Infatti, uno solo dei casi descritti aveva raggiunto l'età adolescenziale, e alcuni case report sono pi๠focalizzati sui dati neuroradiologici, con informazioni cliniche limitate. In questo lavoro presentiamo il caso di un paziente italiano adolescente affetto da PTCD, mostriamo i dati trattografici e riportiamo una dettagliata caratterizzazione del profilo neuropsicologico, con particolare riguardo agli aspetti cognitive e comportamentali. CASO CLINICO Il paziente ਠun ragazzo di 14 anni, nato da genitori non consanguinei, con anamnesi familiare e gravidica negativa, che ha presentato microcefalia (<2DS) fin dalla nascita, ipotonia e ritardo nell'acquisizione delle tappe dello sviluppo. Il quadro clinico era caratterizzato da severa ipoacusia bilaterale, ridotta sensibilità corneale, ptosi palpebrale, nistagmo orizzontale e difficoltà di sguardo verticale, e difficoltà nella deglutizione e nell'alimentazione che sono progressivamente migliorate con l'età , fino a consentire una dieta normale. All'età di tre anni, ha cominciato a camminare da solo senza appoggio per pochi passi. La valutazione neurologica evidenziava atassia del tronco e della marcia, clono bilaterale con ipereflessia e Babiski positivo bilateralmente. Dall'età di 8 anni, il paziente ha cominciato a presentare assenze atipiche e crisi tonico-cloniche, ben controllate dalla terapia con Valproato e Carbamazepina. L'unica anomalia extracraniale in questo paziente era la presenza di un difetto intetratriale associato a intervallo QT lungo. Studio neuroradiologico Le immagini di RMN encefalo mostravano un ponte ipoplastico con profilo ventrale appiattito, un verme cerebellare ipodisplasico e il tipico rigonfiamento focale del tegmento pontino che si proietta ne quarto ventricolo ("tegmental cap"), diagnostico per la malformazione. Inoltre sono stati riscontrati l'assenza del nucleo olivare inferiore, assottigliamento della giunzione ponto-mesencefalica, anomalie bilaterali di tutti i peduncoli cerebellari (ipoplasia o agenesia dei peduncoli inferiori e medi, aspetto "dente molare-like" dei superiori). Vi era stenosi bilaterale dei condotti uditivi interni con severa ipoplasia/assenza dei nervi cocleari, mentre l'orecchio interno era normale. La Diffusion tensor imaging (DTI) con anisotropia frazionale ed il relativo esame trattografico sono stati effettuati a 1, 5T. La trattografia ha evidenziato che il âtegmental capâ pontino consiste di una banda di fibre orientate trasversalmente, che rappresentano probabilmente fibre ectopiche localizzate nel ponte mediale e connesse agli emisferi cerebellari attraverso i peduncoli cerebellare medi. La decussazione mesencefalica del peduncolo cerebellare superiore non era visibile all'indagine trattografica (Figura 1). Studio neuropsicologico Lo studio cognitivo ਠstato effettuato mediante la Scala non verbale Leiter-R. Nonostante il deficit espressivo e percettivo dovuto alla severa ipoacusia, il deficit intellettivo era di grado lieve-moderato, con migliori performance nelle abilità visuospaziali. La valutazione del linguaggio evidenziava un deficit moderato nell'espressione e nella comprensione, caratterizzato da difficoltà fonologiche, lessicali e morfosintattiche, sia nella produzione che nella comprensione. In particolare il paziente pronunciava parole che usava in maniera funzionale, e utilizzava gesti descrittivi e convenzionali. Nella valutazione della comprensione, il paziente aveva punteggi deficitari nella ricezione e nella comprensione sintattica di frasi complesse (Peabody test: <65). Il suo livello ricettivo era caratterizzato da comprensione di parole della routine quotidiana e frasi brevi. Il paziente presentava disartria e difficoltà fono-articolatorie. Punteggi deficitari erano evidenti anche alle prove visuopercettive e grafiche, il paziente infatti riusciva a scrivere solo 2-3 semplici parole e a leggere semplici sillabe. Le funzioni adattive valutate tramite Vineland Adaptive Behaviour Scales (VABS) erano significativamente compromesse, con ridotte abilità quotidiane, pari ad un'età equivalente di 4 anni. Le autonomie quotidiane come la cura dell'igiene personale, il vestirsi e lo svestirsi, mangiare, e il controllo autonomo degli sfinteri era possibile con l'assistenza dei genitori. Infine il profilo comportamentale ਠstato valutato tramite la scala CBCL. Sono stati osservati lievi problemi comportamentali, come fragilità emozionale, problemi attentivi, scarsa tolleranza alle frustrazioni (comportamenti oppositivi), umore instabile. Tuttavia nessuno di questi problemi rientrava in una specifica diagnosi psichiatrica. Analisi genetica Il cariotipo standard ਠrisultato normale maschile. Il paziente ਠstato successivamente sottoposto ad analisi SNP-array ad alta risoluzione per la ricerca di riarrangiamenti genomici che potrebbero essere legati alla patogenesi della malattia. Questa analisi ਠstata effettuata su DNA genomico estratto da sangue periferico, su SNP GeneChip-array 6.0 Platform (Affymetrix, Santa Clara, CA), che comprende circa 900.000 SNP e 900.000 sonde per l'analisi del numero di copie, con una spaziatura media di 0, 7 Kb. Le procedure per la digestione del DNA, la frammentazione, l'etichettatura e l'ibridazione sono state effettuate come riportato in precedenza [10]. L'analisi dei dati ਠstata effettuata mediante il software Genotyper Console 4.0, con una impostazione di default di almeno 25 sonde consecutive ed interessamento di una regione minima di 75 Kb. Con queste impostazioni, non sono state riscontrate varianti patogeniche.
CONCLUSIONI La Pontine Tegmental Cap Dysplasia ਠuna sindrome malformativa che puಠessere facilmente diagnosticata sulla base del riconoscimento delle sue peculiari caratteristiche cliniche e neuroradiologiche. Una diagnosi precoce ਠfondamentale per programmare un iter diagnostico completo e successivo follow-up clinico. Tale iter deve prevedere una valutazione neurologica, oculistica e audiologica, la radiografia dello scheletro e la ricerca di anomalie gastrointestinali, genito-urinarie e cardiache. In particolare, le anomalie delle coste e delle vertebre sono particolarmente frequenti nella PTCD, pur se non osservate nel nostro paziente. La prognosi sembra essere molto variabile. Dei patienti riportati in letteratura, quattro erano deceduti nei primi due anni di vita a causa di complicanze precoci come polmoniti ricorrenti ab ingestis. Tuttavia, va segnalato che i problemi di masticazione e deglutizione tendono a migliorare in modo significativo con l'età , e l'aspettativa di vita aumenta considerevolmente una volta che i pazienti sono sopravvissuti all'infanzia. Cinque dei pazienti descritti erano entrati nella seconda decade di vita, e nessuno di loro aveva presentato complicanze particolarmente rischiose per la sopravvivenza [2-3, presente studio]. Anche i dati sul profilo neuropsicologico dei pazienti PTCD sono molto variabili, con quadri che vanno dal ritardo mentale grave fino a profili cognitivi nella norma (QI = 94) in un bambino di 7 anni [1]. In questo lavoro abbiamo effettuato per la prima volta una dettagliata valutazione cognitiva e comportamentale di un paziente che ha raggiunto l'adolescenza. Il profilo cognitivo e comportamentale osservato ਠin linea con i dati riscontrati nei pazienti affetti da lesioni acquisite e congenite a livello cerebellare, confermando l'evidenza del coinvolgimento cerebellare nella funzioni superiori non-motorie [11-14]. Il disturbo del linguaggio sembra essere una caratteristica costante nella PTCD, che va dalla completa assenza di linguaggio, con o senza il linguaggio dei segni, ad un linguaggio pi๠comprensibile con deficit moderati in entrambe le aree espressive e recettiva. Ciಠਠprincipalmente collegato alla menomazione bilaterale dell'udito con sordità neurosensoriale profonda, causata dall'assenza o ipoplasia dell'VIII nervo cranico. In questi casi, l'effetto riabilitativo di apparecchi acustici ਠsolitamente scarso, e si prevede che l'impianto cocleare possa non essere efficace. Tuttavia, proprio l'impianto cocleare in un paziente italiano precedentemente descritto ha determinato un significativo miglioramento della intelligibilità del linguaggio, aumentando la fiducia in se stessi e l'integrazione sociale [8]. La patogenesi della PTCD ਠancora sconosciuta, anche se ਠstato ipotizzato che la complessa malformazione del cervelletto e tronco encefalico possa derivare da un difetto di orientamento e/o migrazione assonale [1-2]. La PTCD deve essere distinta da un gruppo molto pi๠comune di sindromi congenite caratterizzate da una malformazione peculiare del cervelletto e troncoencefalo associata a ipotonia alla nascita e movimenti oculari anomali, ovvero la sindrome di Joubert e condizioni correlate (JSRD) [15]. La âfirmaâ neuroradiologica delle JSRD ਠrappresentata dal "segno del dente molare" (MTS), che deriva dall'associazione di ipo-displasia del verme cerebellare, fossa interpeduncolare approfondita, e peduncoli cerebellari superiori che si presentano ispessiti, allungati e orizzontalizzati. L'assenza di decussazione dei peduncoli cerebellari superiori sembra essere una caratteristica comune in entrambe le condizioni, e un aspetto "MTS-like" del mesencefalo ਠstata effettivamente descritta in alcuni pazienti PTCD, compreso il presente caso [1-2, 6]. Tuttavia, il tipico "tegmental cap" pontino non ਠmai presente nelle JSRD. Anche le caratteristiche cliniche sono differenti, in quanto i pazienti JSRD non presentano le neuropatie craniche multiple e le anomalie vertebrali tipiche della PTCD, mentre sono spesso caratterizzate dal coinvolgimento di altri organi tra cui la retina, i reni ed il fegato. Una corretta diagnosi differenziale ਠdi importanza fondamentale non solo per il follow-up clinico e la prognosi dei pazienti, ma anche per una adeguata consulenza genetica alle famiglie. Le JSRD sono infatti condizioni autosomiche recessive, che presentano un rischio di ricorrenza del 25%, mentre la base genetica della PTCD rimane ancora da determinare. Entrambi i sessi sono ugualmente colpiti e tutti i pazienti sono sporadici, con storia familiare negativa e l'assenza di consanguineità tra i genitori. Queste osservazioni suggeriscono che la PTCD possa essere causata da un mutazione eterozigote de novo che agisca in maniera dominante. Recentemente, ਠstato descitto un paziente con PTCD portatore di una delezione in eterozigosi della regione cromosomica 2q13 contenente il gene NPHP1, che gli autori hanno ritenuto responsabile del fenotipo PTCD [3]. La delezione omozigote di una regione genomica di 250Kb che comprende il gene NPHP1 ਠcausativa di un gruppo di sindromi nello spettro delle ciliopatie, tra cui la nefronoftisi giovanile isolata, la sindrome di Senior-Loken e la JSRD con coinvolgimento renale. Tuttavia, ਠimprobabile che una delezione in eterozigosi del gene NPHP1 possa essere patogenica della PTCD. Infatti, i pazienti omozigoti per la delezione di NPHP1 ereditano solitamente tale squilibrio genomico da genitori asintomatici, che sono entrambi portatori eterozigoti della delezione. Inoltre, la nefronoftisi giovanile ਠuna caratteristica costante dei fenotipi associati a delezioni di NPHP1, e diventa clinicamente manifesta verso la fine della prima decade o all'inizio della seconda decade di vita con insufficienza renale acuta o cronica [16]. Nessuno dei pazienti PTCD descritto finora, incluso il paziente di 16 anni con delezione eterozigote di NPHP1, ha presentato segni di nefronoftisi o di insufficienza renale. Complessivamente, queste osservazioni suggeriscono che la delezione del cromosoma 2q individuata in uno dei pazienti PTCD non sia patogenicamente correlata con il quadro clinico, ma rappresenti solo un ritrovamento causale o, eventualmente, un modificatore genetico del fenotipo. Nel nostro studio, l'analisi SNP-array ad una risoluzione ha escluso la presenza di riarrangiamenti cromosomici. In conclusione, la PTCD ਠuna sindrome rara, ma probabilmente sotto-diagnosticata, caratterizzata da una peculiare difetto congenito del cervelletto e del tronco encefalico, e da una specifica costellazione di segni clinici. Nonostante la severità dello spettro fenotipico ed il variabile coinvolgimento multiorgano, ਠimportante sottolineare che alcuni pazienti hanno un esito favorevole a lungo termine, con deficit cognitivo moderato e linguaggio in parte conservato.
Figura 1 - Immagini di risonanza magnetica e trattografia del paziente 1 che dimostrano il tipico âtegmental capâ (freccia). BIBLIOGRAFIA 1. Barth PG, Majoie CB, Caan MW, Weterman MA, Kyllerman M, Smit LM, Kaplan RA, Haas RH, Baas F, Cobben JM, Poll-The BT: Pontine tegmental cap dysplasia: a novel brain malformation with a defect in axonal guidance. Brain 2007, 130:2258-2266. 2. Jissendi-Tchofo P, Doherty D, McGillivray G, Hevner R, Shaw D, Ishak G, Leventer R, Barkovich AJ: Pontine tegmental cap dysplasia: MR imaging and diffusion tensor imaging features of impaired axonal navigation. AJNR Am J Neuroradiol 2009, 30:113-119. 3. Macferran KM, Buchmann RF, Ramakrishnaiah R, Griebel ML, Sanger WG, Saronwala A, Schaefer GB: Pontine tegmental cap dysplasia with a 2q13 microdeletion involving the NPHP1 gene: insights into malformations of the mid-hindbrain. Semin Pediatr Neurol 2010, 17:69-74. 4. Maeoka Y, Yamamoto T, Ohtani K, Takeshita K: Pontine hypoplasia in a child with sensorineural deafness. Brain Dev 1997, 19:436-439. 5. Ouanounou S, Saigal G, Birchansky S: Mobius syndrome. AJNR Am J Neuroradiol 2005, 26:430-432. 6. Rauscher C, Poretti A, Neuhann TM, Forstner R, Hahn G, Koch J, Tinschert S, Boltshauser E: Pontine tegmental cap dysplasia: the severe end of the clinical spectrum. Neuropediatrics 2009, 40:43-46. 7. Szczaluba K, Szymanska K, Bekiesinska-Figatowska M, Jurkiewicz E, Madzik J, Obersztyn E, Mazurczak T: Pontine tegmental cap dysplasia: a hindbrain malformation caused by defective neuronal migration. Neurology 2010, 74:1835. 8. Bacciu A, Ormitti F, Pasanisi E, Vincenti V, Zanetti D, Bacciu S: Cochlear implantation in pontine tegmental cap dysplasia. Int J Pediatr Otorhinolaryngol 2010, 74:962-966. 9. Huang BY, Roche JP, Buchman CA, Castillo M: Brain stem and inner ear abnormalities in children with auditory neuropathy spectrum disorder and cochlear nerve deficiency. AJNR Am J Neuroradiol 2010, 31:1972-1979. 10. Bernardini L, Alesi V, Loddo S, Novelli A, Bottillo I, Battaglia A, Digilio MC, Zampino G, Ertel A, Fortina P, et al: High-resolution SNP arrays in mental retardation diagnostics: how much do we gain? Eur J Hum Genet 2010, 18:178-185. 11. Schmahmann JD, Sherman JC: The cerebellar cognitive affective syndrome. Brain 1998, 121 (Pt 4) :561-579. 12. Riva D, Giorgi C: The contribution of the cerebellum to mental and social functions in developmental age. Fiziol Cheloveka 2000, 26:27-31. 13. Tavano A, Grasso R, Gagliardi C, Triulzi F, Bresolin N, Fabbro F, Borgatti R: Disorders of cognitive and affective development in cerebellar malformations. Brain 2007, 130:2646-2660. 14. Levisohn L, Cronin-Golomb A, Schmahmann JD: Neuropsychological consequences of cerebellar tumour resection in children: cerebellar cognitive affective syndrome in a paediatric population. Brain 2000, 123 (Pt 5) :1041-1050. 15. Brancati F, Dallapiccola B, Valente EM: Joubert Syndrome and related disorders. Orphanet J Rare Dis 2010, 5:20. 16. Hurd TW, Hildebrandt F: Mechanisms of nephronophthisis and related ciliopathies. Nephron Exp Nephrol 2011, 118:e9-14.
geneticapediatrica.it trimestrale di divulgazione scientifica dell'Euromediterranean Paediatric Foundation Legge 7 marzo 2001, n. 62 - Registro della Stampa Tribunale di Messina n. 3/09 - 11 maggio 2009
Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology
Anno III numero 2 - aprile 2011 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali
Un nuovo caso di delezione terminale 6q associata a parziale agenesia del corpo calloso A new case of 6q terminal deletion associated with partial agenesis of the corpus callosum
L. Travaglini1, G. Vitiello2, A. D'Amico3, E. David5, V. De Clemente4, A. Ferraris2, L. Bernardini2, E. Bertini1, E.M. Valente2, 5, E. Del Giudice4 1Unità di Medicina Molecolare, Ospedale Pediatrico Bambino Gesà¹, Roma; 2Istituto CSS-Mendel, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, Roma; 3Dipartimento di Scienze Radiologiche, 4Dipartimento di Pediatria, Università Federico II, Napoli; 5Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche, Università di Messina, Messina.
ABSTRACT OBJECT: Terminal deletions of the long arm of chromosome 6 (6q) lead to variable phenotypes related to the size and position of the deleted regions. The chromosomal region 6q25.2-q25.3 has been proposed as critical for microcephaly, growth retardation, hearing loss and agenesis of the corpus callosum (ACC). We report a detailed clinical and molecular caracterization of a patient with microcephaly, developmental delay, dysmorphic corpus callosum with splenium agenesis and cerebellar hypoplasia. METHODS: The patient's DNA was analyzed by high-resolution SNP-array platform (GeneChip SNP array 6.0, Affymetrix). The results were confirmed by FISH. RESULTS: SNP-array analysis showed the presence of a 11.4Mb deletion extending from 6q25.3 to 6q27, as well as an interstitial duplication of about 1Mb at chromosome 14q. Rearrangements, confirmed by FISH, resulted from malsegregation of a paternal translocation t (6; 14) (q25.3, q32.33). There are several genes involved in neural development contained in the 6q25 region. TIAM2 and SYNJ2 genes, previously mentioned as possible candidates for ACC, are found immediately outside the deleted region and could be affected by a position effect. CONCLUSIONS: The case described here expands the phenotypic spectrum associated with terminal deletion of the long arm of chromosome 6 and confirms the strong association between ACC and deletion of region 6q25-q27. RIASSUNTO OGGETTO: Delezioni terminali del braccio lungo del cromosoma 6 (6q) sono associate a fenotipi variabili, in base alle dimensioni e alla posizione delle regioni delete. La regione cromosomica 6q25.2-q25.3 ਠstata proposta come regione critica per microcefalia, ritardo di crescita, perdita dell'udito e agenesia del corpo calloso (ACC). Riportiamo la dettagliata caratterizzazione clinica e molecolare di un paziente con un quadro clinico caratterizzato da microcefalia, ritardo dello sviluppo, dimorfismo del corpo calloso con agenesia dello splenio e ipoplasia cerebellare. METODI: Il DNA del paziente ਠstato analizzato mediante piattaforma SNP-Array ad alta risoluzione (GeneChip SNP-array 6.0, Affimetrix). I risultati sono stati confermati mediante FISH. RISULTATI: L'analisi di SNP-Array ha evidenziato una delezione di circa 11.4 Mb nella regione 6q25.3q27associata ad una microduplicazione di circa 1 Mb della regione subtelomerica del braccio lungo del cromosoma 14. I riarrangiamenti, confermati mediante FISH, derivano dalla malsegregazione di una traslocazione paterna t (6;14) (q25.3;q32.33). Diversi sono i geni coinvolti nel neuro sviluppo contenuti nella regione 6q25. I geni TIAM2 e SYNJ2, precedentemente indicati come possibili candidati per l'agenesia del corpo calloso, si trovano immediatamente fuori la regione deleta e potrebbero essere interessati da un effetto di posizione. CONCLUSIONI: Il caso qui descritto espande lo spettro fenotipico associato a delezioni terminali del braccio lungo del cromosoma 6 e conferma la forte associazione tra agenesia del corpo calloso e delezione della regione 6q25-q27. Keywords: delezione terminale 6q, agenesia del corpo calloso INTRODUZIONE La sindrome da delezione 6q terminale ਠcausata dalla monosomia strutturale e funzionale della regione terminale cromosomica del braccio lungo del cromosoma 6. Caratteristiche cliniche comuni ai pazienti portatori di tale delezione comprendono ritardo mentale da moderato a grave, ritardo di crescita, dismorfismi cranio-facciali, epilessia focale, e varie anomalie cerebrali. Tuttavia, la presentazione clinica ਠvariabile, anche in base alle dimensioni e posizione della regione deleta (Bertini et al., 2006, Elia et al., 2006, Striano et al., 2006). Molti tentativi sono stati fatti nel corso degli anni per correlare la delezione di specifiche regioni 6q con fenotipi distinti. à stato infatti suggerito che la palatoschisi e le anomalie degli arti sono frequentemente associate a del6q23-q25), mentre i pazienti con del6q26-q27) presentano pi๠comunemente difetti cardiaci, ipoplasia dei genitali, collo corto e anomalie retiniche. Infine, delezioni subtelomeriche sono state pi๠comunemente associate a ritardo mentale e di crescita, dismorfismi, idrocefalo, anomalie del corpo calloso, epilessia, ipotonia, microcefalia e anomalie vertebrali (Eash et al., 2005). Un precedente studio aveva indicato la regione 6q25 come critica per la agenesia del corpo calloso (ACC), suggerendo che l'aploinsufficienza di uno o pi๠geni presenti in tale regione possa essere responsabile di tale fenotipo n (Pirola et al ., 1998). Recentemente, una delezione cromosomica di 3, 52 Mb in 6q25.2-q25.3 ਠstata specificamente associata a microcefalia, ACC e perdita dell'udito (Nagamani et al., 2009). Tra i 12 geni codificanti presenti all'interno di questa regione, alcuni geni tra cui TIAM2 e SYNJ2 sono stati considerati candidati per la microcefalia e ACC. Tuttavia, il legame tra clinica e la aploinsufficienza di geni specifici nella regione 6q25 resta ancora in gran parte sconosciuto. In questo lavoro riportiamo il caso di un paziente con delezione 6q terminale, associato a microcefalia, ritardo dello sviluppo, dismorfismi e ACC. METODI Analisi SNP-Array ad alta risoluzione Il DNA del paziente ਠstato analizzato mediante GeneChip SNP-array 6.0 Platform (Affymetrix, Santa Clara, CA), che comprende circa 900.000 SNPs e 900.000 sonde per CNVs (copy number variants) a una distanza media di 0, 7 Mb. Le procedure per la digestione del DNA, la frammentazione, l'etichettatura e l'ibridazione sono stati eseguiti secondo le istruzioni del costruttore, come precedentemente riportato (REF). L'analisi dei dati ਠstata eseguita su piattaforma Genotyping Console (GTC) 3.0.1, con una risoluzione di default di circa 75 Kb. Validazione delle CNVs Per identificare varianti genomiche benigne note sono stati utilizzati il database di Varianti genomiche (http://projects.tcag.ca/variation/), UCSC Genome browser (http://www.genome.ucsc.edu/) e DECIPHER (http://www.sanger.ac.uk/PostGenomics/decipher). Analisi FISH Analisi FISH di conferma sono stati effettuate con cloni BAC selezionati da una libreria di genoma BAC 32K (BacPac Resources Center, Children's Hospital Oakland Research Institute di Oakland, CA, USA) (http://www.chori.org/bacpac) utilizzando procedure standard. Brevemente, i cloni BAC di interesse sono stati messi in coltura in brodo con 20μg/ml di cloramfenicolo. I DNA sono stati estratti da kit Quantum Prep Miniprep (Biorad, Hercules, CA) e marcati direttamente con spectrumGreen-dUTP o SpectrumOrange-dUTP da nick-traduzione (Vysis, Downers Grove, IL, USA), secondo le istruzioni del costruttore. RISULTATI Caso Clinico A.S. ਠun bambino di 4 anni (Figura 1), nato a termine con parto naturale da genitori italiani non-consanguinei. La storia familiare ਠnegativa per anomalie congenite e / o ritardo dello sviluppo. Alla 31° settimana di gestazione, l'ecografia prenatale ha rivelato la presenza di idrocefalo, ipoplasia del verme cerebellare, e dilatazione della pelvi renale bilaterale. I parametri di crescita alla nascita erano nei limiti della norma (3, 4 kg di peso e 50 centimetri di lunghezza, tutti tra i centile 25-50), con punteggio Apgar 81 e 105. All'età di 2 mesi, l'ecografia transfontanellare confermava la dilatazione dei ventricoli laterali e mostrava l'ipoplasia del corpo calloso, soprattutto nella parte posteriore. A questa età , ਠstata segnalate microcefalia (circonferenza cranica 35, 5 cm; <2, 8 SD). L' esame ecografico renale confermava la presenza di dilatazione caliceale bilaterale, associata ad allargamento ureterale. All'età di 9 mesi il bambino ha cominciato a presentare episodi critici caratterizzati da cianosi, perdita di coscienza e retropulsione dei globi oculari. L'esame elettroencefalografico rivelava onde irritative nella regione temporale sinistra, con sporadica diffusione anteriore. La consulenza genetica, effettuata all'età di 10 mesi evidenziava marcata microcefalia (circonferenza cranica 41 cm, -3, 5 SD) e lievi dismorfismi facciali, comprendenti ciglia lunghe, grandi orecchie retroruotate, filtro piatto, bocca grande con labbro superiore sottile, naso prominente con ponte nasale alto, palato alto e teletelia. La RMN encefalo mostrava un allargamento dei ventricoli laterali con aspetto colpoencefalico, due noduli di eterotopia subependimali di materia grigia lungo la porzione laterale del trigono di destra. Si evidenziava inoltre ipoplasia del tronco posteriore e dello splenio del corpo calloso, associata a lieve ipoplasia del ponte. Le immagini assiali pesate in T1 mostravano polimicrogiria in sede perisilviana posteriore bilateralmente e agenesia quasi totale del setto pellucido. Le immagini assiali pesate in T2 incentrate sulla fossa cranica posteriore mostravano un emisfero cerebellare sinistro moderatamente ipoplasico con l'allargamento corrispondente della cisterna magna (Figura 2). Il paziente ha presentato ritardo nell'acquisizione delle tappe dello sviluppo, raggiungendo il controllo del capo verso i 9 mesi e la posizione seduta senza sostegno a 10 mesi. Una valutazione neuropsicologica a 22 mesi ha evidenziato una età evolutiva di 10 mesi (scala di sviluppo mentale Griffiths), suggerendo un ritardo mentale moderato-grave. Nello stesso periodo il controllo ecografico ha evidenziato, una remissione completa dei difetti renali riscontrati in precedenza. All'ultima valutazione neurologica (età 3 anni e 10 mesi), il paziente cominciava a deambulare senza supporto con base allargata, e pronunciava solo singole parole, senza formulare frasi. Il controllo sfinterico non era stato raggiunto. Non si evidenziavano segni cerebellari, come l'aprassia oculomotoria o movimenti atassici. Tono, trofismo e forza muscolare erano nella norma, come pure i riflessi osteo-tendinei profondi. La visita oculistica e la valutazione audiologica erano nella norma. Gli esami del sangue di routine e di screening biochimico per i disordini metabolici erano risultati nella norma, con l'eccezione di un possibile aumento lieve dei livelli plasmatici di arginina (55 uM / L). Il cariotipo standard, eseguito su sangue periferico, era normale (46, XY). Studio citogenetico Nel sospetto di sindrome cromosomica da microdelezione cromosomica non evidenziabile al cariotipo standard, il DNA del paziente ਠstato analizzato mediante SNP-Array ad alta risoluzione. Tale indagine ha mostrato la presenza di una delezione di circa 11.3Mb dal 6q25.3 a 6q27, associata ad una duplicazione interstiziale di circa 1Mb nella regione 14q32.33. L'analisi del contenuto genico della regione 14q ha dimostrato la presenza di 3 geni non codificanti, suggerendo che questa CNV non contribuisce alla definizione del fenotipo. La regione deleta sul cromosoma 6q non comprende i geni TIAM2 e SYNJ2, che perಠrisiedono a distanza di 1-4Mb dal punto di rottura prossimale della delezione. L'analisi FISH nei genitori, eseguita con sonde selezionate per il cromosoma 6 e 14, ha rivelato una traslocazione bilanciata nel padre. DISCUSSIONE La prima descrizione clinica dei pazienti con delezioni terminali 6q risale al 1975 (Milosevic e Kalicanin, 1975). Da allora, sono stati segnalati 34 pazienti con riarrangiamenti della regione terminale del cromosoma 6q, incluse delezioni interstiziali, traslocazioni non bilanciate e cromosomi ad anello (Milosevic e Kalicanin, 1975, Bartoshesky et al., 1978, Rivas et al., 1986, Oliveira-Duarte et al., 1990, Meng et al., 1992, Valtat et al., 1992, Hopkin et al., 1997, Sukumar et al., 1999, Kraus et al., 2003, Eash et al., 2005, Bertini et al., 2006, Elia et al., 2006, Camere et al., 2006, Striano et al., 2006, Dobyns et al., 2008, Kara et al., 2008, Su et al., 2008, Abu-Amero et al., 2010). Nel 2005, il termine "sindrome da delezione 6q terminale" ਠstato adottato per descrivere uno spettro fenotipico riconoscibile comprendente varie anomalie tra cui ritardo mentale e di crescita, ipotonia, microcefalia, ipoplasia genitale, anomalie dell'orecchio, degli arti, cardiache, della retina e del palato, convulsioni. Dal punto di vista neuroradiologico, sono di comune riscontro l'idrocefalo e l'ipoplasia o agenesia del corpo calloso, ma sono possibili anche altre malformazioni cerebrali (Eash et al., 2005, Bertini et al., 2006, Elia et al., 2006, Striano et al., 2006). Anche il paziente qui descritto presenta un quadro abbastanza tipico della sindrome da delezione 6q, con anomalie cerebrali e agenesia del corpo calloso (Rivas et al., 1986, Meng et al., 1992, Hopkin et al., 1997, Sukumar et al., 1999, Bertini et al., 2006, Striano et al., 2006, Dobyns et al., 2008, Nagamani et al., 2009, Abu-Amero et al., 2010). Recentemente, Abu-Omero e collaboratori hanno riportato il caso di un paziente con delezione terminale di 10, 8 Mb della regione 6q perfettamente sovrapponibile a quella del nostro paziente (Abu al-Amero et al., 2010). Escludendo le varianti benigne, solo 11 geni potenzialmente rilevanti sono presenti in tale regione: ACAT2, PNLD04, GPR31, TTLL2, TCP10, KIF25, DACT2, PHF10, DLL1, PSMB1 e TBP. Ad oggi, nessuno di questi geni sembra svolgere un ruolo rilevante nella ACC o in altre anomalie cerebrali osservate nei pazienti con delezione 6q terminale. Recentemente, i geni TIAM2 e SYNJ2 geni sono stati proposti come candidati per ACC osservata nei pazienti con delezioni che coinvolgono 6q 6q25.2-q25.3 regione (Nagamani et al., 2009). Tuttavia, nel nostro paziente TIAM2 e SYNJ2 non sono deleti, ma si trovano rispettivamente a 4 Mb e 1Mb dal punto di delezione prossimale. Studi precedenti hanno dimostrato che riarrangiamenti genomica genomici possono contribuire ad un determinato fenotipo non soltanto a seguito dell'aploinsufficienza dei geni contenuti nella regione deleta ma in qualche modo modificando i livelli di espressione dei geni presenti in normale numero di copie nelle vicinanze della regione deleta. Tale "effetto di posizione" di riarrangiamenti strutturali sulla espressione dei geni che si trovano al di fuori dei loro confini ਠstato segnalato fino ad una distanza di 7Mb dai punti di rottura (Straniero et al., 2007). Nel nostro caso, ਠpertanto possibile che l'espressione di TIAM2 e SYNJ2 possa essere alterata a causa di un effetto di posizione, a seguito della delezione di elementi enhancer o repressori della trascrizione presenti nella regione deleta. Altre caratteristiche neurologiche che sono state osservate nel nostro paziente, ma solo raramente segnalate in pazienti con delezione terminale 6q, e comprendono l'eterotopia nodulare periventricolare (PNH) e la polimicrogiria (PMG) (Figura 2). (Eash et al., 2005, Bertini et al., 2006, Dobyns et al., 2008, Abu-Amero et al., 2010). Dobyns e collaboratori hanno proposto che uno o pi๠geni in una regione di 7, 35 Mb tra il BAC RP11-57O22 e la regione 6q telomerica siano associati a queste anomalie cerebrali (Dobyns et al., 2008). Tuttavia, sono stati riportati casi di penetranza incompleta in pazienti con microdelezioni della stessa regione e con sviluppo cerebrale nella norma (Bartoshesky et al., 1978, Rivas et al., 1986, Oliveira-Duarte et al. 1990, Meng et al., 1992, Valtat et al., 1992, Hopkin et al., 1997, Pirola et al., 1998, Sukumar et al., 1999, Yoshizawa et al., 2002, Elia et al., 2006, Su et al., 2008, Nagamani et al., 2009, Ooms et al., 2009). Anomalie retiniche sono state frequentemente riportate in pazienti con delezioni 6q (Eash et al., 2005, Bertini et al., 2006, Abu-Amero et al., 2010), e l'assenza di anomalie oftalmologiche in pazienti con piccole delezioni subtelomeriche ha portato Eash e collaboratori (2005) a ipotizzare che geni responsabili delle anomalie retiniche si trovino prossimalmente alla regione subtelomerica 6q. Numerosi studi riportano inoltre casi di sordità o ipoacusia associati a del6q terminale, ipotizzando un possibile ruolo del gene NOX3 (Nagamani et al., 2009). Nel nostro caso tuttavia l'esame ABR ha escluso la presenza di ipoacusia. In maniera simile, il nostro paziente non presenta anomalie muscoloscheletriche e urogenitali, precedentemente associate a delezione 6q (Hopkins et al., 1997, Elia et al., 2006). Il confronto dei nostri dati con la letteratura permette di apportare un contributo nell'inquadramento della sindrome da del6q terminale e conferma una forte associazione di tale microdelezione cromosomica con l'agenesia del corpo calloso.
Figura 1 - Dismorfismi facciali nel paziente con delezione 6q
Figura 2 - Dismorfismi facciali nel paziente con delezione 6q BIBLIOGRAFIA Abu-Amero KK, Hellani A, Salih MA, Al Hussain A, al Obailan M, Zidan G, et al. Ophthalmologic abnormalities in a de novo terminal 6q deletion. Ophthalmic Genet. 2010 Mar;31 (1) :1-11. Bartoshesky L, Lewis MB, Pashayan HM. Developmental abnormalities associated with long arm deletion of chromosome No. 6. Clin Genet. 1978 Jan;13 (1) :68-71. Bertini V, De Vito G, Costa R, Simi P, Valetto A. Isolated 6q terminal deletions: an emerging new syndrome. Am J Med Genet A. 2006 Jan 1;140 (1) :74-81. Dobyns WB, Mirzaa G, Christian SL, Petras K, Roseberry J, Clark GD, et al. Consistent chromosome abnormalities identify novel polymicrogyria loci in 1p36.3, 2p16.1-p23.1, 4q21.21-q22.1, 6q26-q27, and 21q2. Am J Med Genet A. 2008 Jul 1;146A (13) :1637-54. Eash D, Waggoner D, Chung J, Stevenson D, Martin CL. Calibration of 6q subtelomere deletions to define genotype/phenotype correlations. Clin Genet. 2005 May;67 (5) :396-403. 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Anno III numero 2 - aprile 2011 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali
La compromissione miocardica nei neonati di madre diabetica : confronto tra E. C.G. ed Ecocardiogramma The myocardial impairment in infants of diabetic mothers: comparison between E. C.G. and Echocardiogram
M. P. Calabrà²1, E. Cusumano, G. D'Angelo, G. Quartarone, I. Barberi, E. Gitto 1 Dipartimento di Scienze Pediatriche, UOC Cardiologia Pediatrica, Università degli Studi di Messina Dipartimento di Scienze Pediatriche, UOC Terapia intensiva e patologia neonatale, Università degli Studi di Messina
Introduzione Il neonato di madre diabetica (NMD) deve essere considerato un neonato ad alto rischio, sia per il riscontro di frequenti anomalie (morfologiche, metaboliche e funzionali), sia per la particolare assistenza ostetrica e neonatale di cui necessita. Le gravide possono essere classificate in diverse categorie, ma la prognosi pi๠grave si ha nelle gravidanze di pazienti con diabete di tipo I o ad insorgenza giovanile (1). Il diabete tipo I si associa ad aplotipi di istocompatibilità specifica HLA sul cromosoma 6 ed a fenomeni autoimmuni, ma fattori ambientali come le infezioni virali possono avere un ruolo significativo nel provocare la malattia. Il diabete in gravidanza, associandosi inoltre ad un rischio pi๠elevato di malformazioni congenite, di mortalità e di morbilità feto-neonatale, rappresenta la causa pi๠frequente di embriofetopatia tra le malattie materne. L'incidenza di malformazioni negli NMD ਠstimata essere da 2 a 4 volte superiore rispetto a quella riscontrata nella popolazione generale e gli organi maggiormente interessati sono il cuore, il S.N.C., il rene e lo scheletro. In particolare, la compromissione cardiaca ਠestremamente frequente tra i nati di madre diabetica ed ਠstata oggetto di numerose indagini (2). L'incidenza di cardiopatie congenite ਠcirca 5 volte maggiore rispetto alla popolazione generale (3, 6-6% vs 0, 8%) (3). Inoltre in neonati di madre diabetica esenti da malformazioni cardiache congenite, studi ecocardiografici hanno documentato una ipertrofia del setto interventricolare e delle pareti ventricolari simili a quella descritta nella stenosi ipertrofica subaortica dell'adulto, con un rapporto setto interventricolare/parete ventricolare posteriore del ventricolo sinistro superiore a 1, 3 (4, 5). Da quanto detto si evince come nel neonato di madre diabetica diverse patologie quali la cardiomiopatia ipertrofica, la cardiomegalia alla radiografia del torace (tipica del neonato macrosoma) ed il distress cardio-respiratorio possano facilmente richiamare l'attenzione del cardiologo pediatra anche in assenza di una reale malformazione cardiaca. Si impone pertanto la necessità di sottoporre tutti i NMD ad uno screening cardiologico comprendente un ECG standard ed un esame cardiologico completo. L'ipertrofia del setto interventricolare documentata da numerosi studi ecocardiografici si ਠrivelata, in questi neonati un fenomeno transitorio: lo spessore settale infatti tende a normalizzarsi con il passare dei mesi e comunque entro l'anno di età (5). Sebbene siano state segnalate, nei diversi studi (5, 6) alterazioni elettrocardiografiche quali ipertrofia ventricolare destra, sinistra, o bi ventricolare, nei neonati di madre diabetica non sono mai stati descritti quadri elettrocardiografici che si possano considerare âspecificiâ di questa patologia (6). Scopo del nostro studio ਠstato quello di ricercare eventuali alterazioni dell'elettrocardiogramma in neonati di madre diabetica nei quali l'ecocardiogramma non aveva evidenziato alcuna anomalia morfostrutturale. Casistica e Metodica Trenta neonati, con età gestazionale compresa tra 35 e 40 settimane (E. G. 37, 2 ± 1, 87), figli di madre affetta da diabete mellito insulino - dipendente, sono stati sottoposti, tra il 1°ed il 4° giorno di vita, ad elettrocardiogramma ed ecocardiogramma color-doppler. (Tab. 1) Una ipertrofia settale asimmetrica ਠstata documentata ecocardiograficamente in 12 neonati: ciascuno di essi aveva uno spessore telediastolico del setto interventricolare superiore a 6 mm, mentre gli altri 18 avevano uno spessore settale inferiore a 6 mm. In nessun caso l'ipertrofia settale realizzava un ostacolo all'efflusso ventricolare sinistro. L'ECG dei 12 neonati con marcato incremento dello spessore settale mostrava un'ipertrofia ventricolare destra o biventricolare. Gli elettrocardiogrammi dei 18 neonati con ecocardiogramma normale sono stati confrontati con quelli di un gruppo di controllo costituito da 30 neonati di età gestazionale sovrapponibile, figli di madre non diabetica. Sono stati analizzati i voltaggi delle onde R ed S, il rapporto R/S in V1, V2 e V6, ed inoltre l'asse di QRS. Per l'analisi statistica ਠstato utilizzato il test del chi- quadrato per la significatività dei due gruppi (NMD e gruppo Controllo) e il t-test per il confronto fra medie.
Tabella 1 - Parametri clinici dei NMD e dei neonati di controllo
Figura 1 - A ECG di un neonato di madre diabetica. B - ECG di un neonato di controllo
Figura 2 - Ecocardiogramma bidimensionale e monodimensionale di un NMD: ਠevidente l'ipertrofia ventricolare pi๠marcata a carico del setto interventricolare Bibliografia 1) Philipson E.H.; Kalhan SC, Rosen M.G. et al. Gestational diabetes mellitus: is further improvement necessary? Diabetes 34:55-60. 2) Nold JL, Georgieff MK - Infants of diabetic mothers - Pediatr Clin N Am 2004; 51:619-637 3) Wolfe R.R., Way G.L. Cardiomyopathies in infants of diabetic mothers. John Hopkins Med. J. 1977; 140-177-180. 4) Houser S.R., Burgis V., Martin F, Weinberg D. Effects of epinephrine on resting potential in normal and hyperrtrophich cardiac muscles. Am. J. Physiol.1983;245:H90 5) Rizzo G., Arduini D., Romanini C. Cardiac function on fetuses of type I diabetic mothers. Am. J. Obstet Gynecol, 1991; 164:837-843. 6) Mills JL, Knopp RH, Simpson JL, et al. Lack of relation of increased malformation rates in infants of diabetic mothers to glycaemic control during organogenesis. N Engl J Med 1988;318:671 7) Vargas R, John T Repke, and Serdar H Ural: Type 1 Diabetes Mellitus and Pregnancy. Rev Obstet Gynecol. 2010; 3 (3) : 92-100. 8) Allan L, Hornberger L, Sharland G. Textbook of Fetal Cardiology. Greenwich Medical Media; 2000. pgg 49, 147, 350, 417, 461-462. 9) Elkayam U, Gleicher N. Cardiac problems in Pregnancy, Diagnosis and Management of Maternal and Fetal Heart Disease. 3rd ed. New York: Wiley-Liss; 1998. p543-545 and p713-716. 10) Acolet D, Fleming K, Bailey J, Golightly S, Macintosh M. Perinatal outcome and standards of neonatal care of pregnancies in women with type 1 and 2 diabetes in England, Wales and Northern Ireland 2002/2003 Confidential Enquiry into Maternal and Child Health (CEMACH) Central Office. 11) Demirorem K, Cam L, Oran B, Koc¸ H, Baspinar O, Baysal T. Echocardiographic measurements in infants of diabetic mothers and macrosomic infants of non diabetic mothers. J Perinat Med 2005;33:232-235. 12) Tyrala EE. The infant of the diabetic mother. Obstet Gynecol Clin North Am 1996;23:221- 41. 13) Mazzaleni S., Policicchio C., Piovesano P., Pantaleoni A., Bacolla G., Stocchero L., Minervini N., Zuccaro M. Un caso di cardiomiopatia ipertrofica transitoria in neonata gemella figlia di madre diabetica. Ped. Med. Chir.1992; 14:95. 14) Pedersen LM, Tygstrup I, Pedersen J. Congenital malformations in newborn infants of diabetic women. Correlation with maternal diabetic vascular complications. Lancet 1964;i:1124-6. 15) Mace S., Hirschfeld S.S., Riggs T., Fanaroff A.A., Merkatz I.R. Echocardiographic abnormalities in infants of diabetic mothers J.Pediatr. 95: 1013-1019. 16) Philipson E.H.; Kalhan SC, Rosen M.G. et al. Gestational diabetes mellitus: is further improvement necessary? Diabetes 34:55-60. 17) Reller M.D., Tsang R.C., Meyer R.A., Braun C.P. Relation ship of prospective diabetes control in pregnancy to neonatal cardiorespiratory function. J.Ped.1985 ;106:86-90 18) Gutgesell H.P., Speer M.E., Rosemberg H.S. Characterization of the cardiomyopathy in infants of diabetic mothers. Circulation 1980;61:441-450 19) Gutgesell H.P., Mullin C.E., Gillette P.C., Speer M., Rudolph A.J., Mc Namara D.J. Transient hypertrophic subaortic stenosis in infants of diabetic mothers. J.Pediatr 1976; 89:120 20) Sciacca P., Perisi M.G., Marletta M., RodonಠA., Distefano G. Aspetti etiopatogenetici dell'ipertrofia settale interventricolare nel neonato e nel lattante: revisione della letteratura e dati personali. Riv. Ital. Ped.1994; 20:524-529.
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Case reports
Sospetto di Anemia Emolitica indotta da una Cefalosporina in un neonato pretermine Suspicion of hemolytic anemia induced by a Cephalosporin in a preterm infant
Caimmi D, Caimmi S, Giulia Masa, Luca Artusio, Patrizia Bulzomà¬, Elena LabಠDipartimento di Scienze Pediatriche, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo - Università di Pavia (PV)
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Orticaria cronica e infestazione da Dientamoeba fragilis Chronic Urticaria and infestation Dientamoeba fragilis
A. Marseglia, L. Artusio, P. Bulzomà¬, F. Cairello, G. Masa, P. Merli, E. LabಠDipartimento di Scienze Pediatriche, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo - Università di Pavia (PV)
Introduzione Il fragilis di Dientamoeba ਠun protozoo intestinale, cosmopolita, descritto per la prima volta nel 1918 da Jepps e Dobell e considerato per lungo tempo appartenente al genere Entamoeba. L'osservazione al microscopio elettronico e l'analisi genetica hanno dimostrato che Dientamoeba fragilis ਠcorrelato filogeneticamente con Histomonas. Oggi Dientamoeba fragilis ਠclassificato nella famiglia delle Trichomonadidae. La distribuzione mondiale e la prevalenza di Dientamoeba variano dal 0, 4% al 42%[1]. diversamente dagli altri protozoi patogeni che presentano un'alta prevalenza nei paesi in via di sviluppo, Dientamoeba presenta un distribuzione maggiore nei paesi con alti livelli socio economici: in Italia la prevalenza ਠdel 4.5%[2], del 6.3% nel Belgio, del 9.4% negli Stati Uniti[3], del 11.7% in Svezia[4] e 16.9% nelle isole britanniche[5]. I dati sulla sua prevalenza e distribuzione geografica sono certamente sottostimati a causa della difficoltà di riconoscimento del parassita nell'esame diretto a fresco, o dopo concentrazione, o in campioni colorati con colorazioni estemporanee, in quanto in questo tipo di preparazioni i nuclei non sono visibili e non si colorano. I trofozoiti di Dientamoeba sono inoltre estremamente eterogenei per forma e dimensioni (Figura 2) e possono passare del tutto inosservati oppure essere confusi con residui alimentari, globuli bianchi o cellule di sfaldamento intestinale; inoltre, data la sua natura fragile, Dientamoeba degenera rapidamente durante le fasi della fissazione[6]. Per tali motivi, si sono rese necessarie adeguate metodologie diagnostiche specifiche allo scopo di evidenziarlo[7] e sono state quindi messe a punto ed utilizzate nuove tecniche diagnostiche che vedono la RT-PCR come il metodo pi๠sensibile per la diagnosi [8-11]. Seppure il ruolo di Dientamoeba fragilis come patogeno sia ancora controverso studi recenti hanno dimostrato che Dientamoeba ਠpi๠comune rispetto a Giardia intestinalis. Il parassita ਠstato identificato nelle feci di pazienti con quadri variabili di enterite risoltisi con trattamento antiparassitario. Tuttavia ਠanche accertato che molti portatori di Dientamoeba fragilis siano del tutto asintomatici. Recenti studi di genetica molecolare hanno dimostrato l'esistenza di due genotipi di parassita cui sarebbero riferibili differenti gradi di patogenicità in grado di spiegare quadri clinici cosଠdiversi. Le modalità di trasmissione del parassita non sono ancora note a causa della mancanza di uno stadio cistico; D. fragilis ਠprobabilmente trasmessa per via oro-fecale, ma ਠstata anche ipotizzata una trasmissione attraverso uova di elminti (Ascaris lumbricoides, Enterobius vermicularis). (Figura 1) D. fragilis puಠessere responsabile di infestazioni intestinali acute e croniche in bambini e in adulti. I sintomi clinici pi๠comuni includono: dolore addominale, diarrea cronica, inappetenza, calo ponderale, meteorismo e talvolta eosinofilia periferica con prurito generalizzato o meno (oppure localizzato in sede perianale, orticaria ed infezioni o infestazioni asintomatiche [12, 13]. D. fragilis ਠstato anche annoverato fra i possibili agenti eziologici della sindrome dell'intestino irritabile (IBS) [14, 15]. Molti studi hanno dimostrato che l'eradicazione di D. fragilis allevia o isolve i sintomi [6, 16]. Il trattamento ਠpertanto raccomandato nei casi sintomatici. Si definisce orticaria un rash cutaneo caratterizzato da elementi eritematosi, rilevati e pruriginosi (pomfi) causati da vasodilatazione, incrementato afflusso sanguigno e aumentata permeabilità vascolare derivanti dall'attivazione dei mastociti nel derma. L'orticaria ਠuna delle dermatiti pi๠comuni (si stima che il 20% della popolazione generale presenti almeno un episodio di orticaria acuta nella vita) ed ਠcaratterizzata clinicamente dalla comparsa di pomfi di colore variabile, dal rosso al bianco, di forma, sede ed estensioni variabili, quasi sempre accompagnati da prurito e da angioedema. Caratteristica dell'orticaria ਠdi essere fugace e migrante. Persiste in genere meno di 48 ore, ma puಠregredire completamente anche pochi minuti dopo la sua comparsa senza lasciare esiti. Si definisce orticaria cronica quando i sintomi sono quotidiani e perdurano per pi๠di 6 settimane. E' difficile stabilire con certezza quali siano le principali cause di orticaria cronica in età pediatrica. La forma idiopatica ਠla pi๠frequente e si presenta dal 29% [26] al 84%[27]. Di regola l'orticaria cronica si associa a quattro cause principali nei bambini: orticaria fisica, orticaria postinfettiva, orticaria allergica, orticaria su base autoimmune (Tabella1). Tra le cause di orticaria cronica rivestono un ruolo importante le parassitosi. Viene presentato il caso di una bambina affetta da orticaria cronica ed infestazione da Dientamoeba fragilis. Caso Clinico Ottavia viene valutata per la prima volta presso il nostro ambulatorio di Allergologia per accertamenti in merito ad orticaria cronica presente da circa 4 mesi. Il primo episodio si era verificato durante il soggiorno marino interessando tronco e arti. Gli episodi successivi (circa 1-2 al mese), di entità inferiore, mostravano scarsa risposta alla terapia con antistaminico (oxatomide). Ottavia non presentava in tali occasioni altri sintomi associati, in particolare non lamentava dolore addominale o altra sintomatologia gastro-enterica. All'esame obiettivo la bambina non presentava segni clinici di patologia in atto, fatta eccezione per un rash orticarioide a piccoli elementi pomfoidi al tronco e alla radice degli arti. Gli accertamenti di I livello per orticaria (emocromo, PCR, immunoglobuline, IgE specifiche e totali, screening per la celiacha, transaminasi, funzionalità tiroidea e autoimmunità specifica) risultavano nella norma, fatta accezione per un modesto incremento degli enzimi epatici (AST: 71 mU/ml, ALT: 104 mU/ml) e una lieve eosinofilia (E: 700/mmc). I Prick test per inalanti ed alimenti non mostravano segni di sensibilizzazione. Le sierologie per EBV, CMV, Toxoplasma gondii, Toxocara canis e cati, HBV, HCV, HAV, eseguite in merito a ipertransaminasemia risultavano negative, come lo scotch test e la ricerca dell'antigene fecale per Helicobacter pylorii. Il valore di transaminasemia, per altro, ricontrollato dopo 2 settimane, era spontaneamente rientrato nei limiti di normalità . L'esame coproparassitologico, eseguito su tre differenti determinazioni fissate su formalina (quindi ripetuto su altre tre a fresco) permetteva, invece, di identificare la presenza di Dientamoeba fragilis. In considerazione della frequenza degli episodi di orticaria e del noto ruolo eziologico di alcune parassitosi quali trigger per l'insorgenza di orticaria, si ਠdeciso di impostare una terapia eradicante per D. fragilis con Metronidazolo alla dose di 35mg/kg/die per 7 giorni. Dopo la settimana di trattamento la piccola non ha pi๠presentato orticaria e non ha pi๠lamentato prurito. Discussione Dientamoeba fragilis ਠun protozoo intestinale classificato nella famiglia delle Trichomonadidae. I dati sulla sua prevalenza e distribuzione geografica sono certamente sottostimati a causa della difficoltà di riconoscimento nell'esame diretto a fresco. Per questo motivo la diagnosi di certezza ਠappannaggio di laboratori altamente specialistici. Il ruolo di Dientamoeba fragilis come patogeno ਠancora controverso. Il parassita ਠstato identificato nelle feci di pazienti con quadri variabili di enterite acuta o cronica che si sono risolti con trattamento antiparassitario. Tuttavia ਠaccertato che molti portatori di Dientamoeba fragilis sono asintomatici. Anche il ruolo il ruolo di Dientamoeba fragilis nel determinismo dell'orticaria ਠdiscusso. La nostra esperienza mostra comunque come, nel caso di un paziente con orticaria cronica e con esame coproparassitiologico positivo per Dientamoeba fragilis, sia consigliabile eseguire un ciclo di terapia eradicante. Tale approccio ਠgià stato validato da studi su un'ampia casistica relativamente alla sintomatologia gastroenterologica associata a Dientamoeba fragilis[19, 20]. I pi๠comuni antimicrobici utilizzati per l'eradicazione di Dientamoeba sono lo iodoquinolo[17, 18], il metronidazolo[19, 20], le tetracicline[21], la paramomicina[22], e i nuovi derivati del nitromidazolo come il secnidazolo e l'ornidazolo[23, 24]. Sono state utilizzate con successo anche terapie combinate di questi farmaci[25]. In conclusione nonostante la patogenesi dell'orticaria indotta da Dientamoeba fragilis non sia documentabile con i dati attualmente disponibili, il rapporto di causalità trova comunque riscontro nell'effetto positivo che si ottiene sulle manifestazioni cutanee in seguito ad eradicazione del parassita.
Tabella 1 - Cause di orticaria cronica
Figura 1
Figura 2 - Trofozoita di Dientamoeba fragilis Bibliografia 1. Johnson EH, Windsor JJ, Clark CG. Emerging from obscurity: biological, clinical, and diagnostic aspects of Dientamoeba fragilis. Clin Microbiol Rev. 2004;17:553-570. 2. Crotti D, D'Annibale ML. Role of Dientamoeba fragilis in human bowel infections. Infez Med. 2007;15:30-39. 3. Spencer MJ, Garcia LS, Chapin MR. Dientamoeba fragilis. An intestinal pathogen in children? Am J Dis Child. 1979;133:390-393. 4. Stensvold CR, Arendrup MC, Molbak K, Nielsen HV. The prevalence of Dientamoeba fragilis in patients with suspected enteroparasitic disease in a metropolitan area in Denmark. Clin Microbiol Infect. 2007;13:839-842. 5. Schuster H, Jackson BM. Prevalence of Dientamoeba fragilis among patients consulting complimentary medicine practitioners in the British Isles. J Clin Pathol. 2008;62:182-184 6. Stark DJ, Beebe N, Marriott D, Ellis JT, Harkness J. Dientamoebiasis: clinical importance and recent advances. 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Una nuova mutazione frameshift del gene dax-1 in un bambino con ipoplasia surrenalica congenita legata al cromosoma x e senza insufficienza precoce dell'asse ipotalamo-ipofisi-gonadi A novel frameshift mutation of the dax-1 gene in a boy with x-linked congenital adrenal hypoplasia and no early impairment of the hypothalamus-pituitary-gonadal axis
Silvestro Mirabelli, Sara Bombaci, Vincenzo Ramistella, Christian Freno, Gilberto Candela, Maria Pia Gangemi, Federica Porcaro, Fernanda Chiera, Filippo De Luca Dipartimento di Scienze Pediatriche, Mediche e Chirurgiche, Università di Messina
Abstract Riportiamo nel nostro studio il caso di un bambino con Ipoplasia Surrenalica Congenita legata al cromosoma X, nel quale abbiamo documentato la presenza di una nuova mutazione frameshift del gene DAX-1. In our study, we report the case of a boy with X-linked Adrenal Hypoplasia Congenita, in which we have documented the presence of a new frameshift mutation of the DAX-1 gene. Keywords: AHC-Ipoplasia Surrenalica Congenita, HH-Ipogonadismo Ipogonadotropo, ACTH-ormone adrenocorticotropo Caso clinico L'Ipoplasia surrenalica congenita (AHC) ਠun disordine familiare relativamente raro che si presenta in due forme differenti: autosomica recessiva ed a trasmissione recessiva legata al cromosoma X. Quest'ultima ਠfrequentemente associata all'ipogonadismo ipogonadotropo (HH) o ad altre patologie trasmesse in modo analogo (deficit di glicerolo-chinasi, distrofia muscolare di Duchenne), implicando altri geni contigui al livello del cromosoma X (1). Il gene responsabile per l'AHC legato al cromosoma X ਠil DAX-1, che codifica una proteina appartenente alla superfamiglia dei recettori ormonali nucleari (2, 3), presente a livello ipofisario, ipotalamico, surrenale, testicolare e ovarico (3, 4). Numerose mutazioni frameshift, nonsense e missense sono state identificate nel gene DAX-1 in pazienti con AHC e HH, con grande variabilità fenotipica tra pazienti con differenti mutazioni e tra coloro che presentavano la stessa mutazione nel gene DAX-1 (5, 6). Nuove mutazioni del gene DAX-1 sono state individuate recentemente, confermando sia l'eterogeneità della sindrome AHC-HH, sia l'assenza di correlazioni genotipo-fenotipo (7-11). Lo scopo di questo articolo ਠdi segnalare una nuova mutazione frameshift del gene DAX-1 in un bambino con AHC legata al cromosoma X e senza compromissione dell'asse ipotalamo-ipofisi-gonadi. Il bambino all'età di un mese presentava insufficienza surrenalica acuta con sintomi clinici (estrema sonnolenza, iperpigmentazione cutanea, perdita di sali) e biochimici (iponatremia: Na 125 mEq/l; iperkaliemia: K 8.8 mEq/l) di deficit combinato di glucocorticoidi e mineralcorticoidi. La valutazione ormonale ha evidenziato concentrazioni plasmatiche subnormali di cortisolo e aldosterone; livelli plasmatici di ACTH e attività reninica plasmatica (PRA) marcatamente elevati; livelli normali basali e stimolati di 17 OH progesterone (17OHP). Sulla base di questi risultati ed altri accertamenti clinici biochimici ed ecografici, sono state escluse le principali cause di insufficienza surrenalica, quali l'iperplasia congenita surrenale dovuta al deficit di 21 idrossilasi (livelli sierici basali e dopo stimolazione con 17 OHP normali) ; difetti congeniti dell'ipotalamo o dell'ipofisi, con conseguente deficit di ACTH (assenza di aspetti fenotipici di ipopituitarismo congenito e livelli sierici di ACTH incrementati); adrenoleucodistrofia (assenza di aspetti neurologici e livelli sierici normali di acidi grassi a catena lunga) ; emorragia surrenale (esame ecografico normale delle ghiandole surrenali). La terapia sostitutiva con glico- e mineral-corticoidi (idrocortisone 10 mg/die e fluorocortisone 0, 1 mg/die) ਠstata rapidamente iniziata e seguita dalla risoluzione del quadro clinico di insufficienza surrenalica. L'esame obiettivo ha mostrato genitali normali e testicoli discesi. I livelli sierici di testosterone e LH al momento della diagnosi erano in accordo con una normale âminipubertà dell'infanziaâ (6, 12). Malgrado lo sviluppo genitale normale e la sopravvenienza di una normale minipubertà dell'infanzia, i risultati clinici, biochimici ed ecografici del surrene del paziente, hanno suggerito una diagnosi di AHC legata al cromosoma X ed ਠstato eseguito uno studio molecolare del gene DAX-1. Le sindromi di geni contigui, come la deficienza di glicerolo-chinasi e la distrofia muscolare di Duchenne sono state escluse dal quadro clinico e dalla valutazione biochimica (livelli sierici normali di glicerolo, trigliceridi e creatinchinasi). Il gene DAX-1 ਠstato amplificato con la PCR in 3 frammenti contenenti i due esoni utilizzando specifici primers di innesco e DNA polimerasi (XL PCR Kit, Perkin-Elmer, Foster City, CA, USA). Dall'analisi del DNA del gene DAX-1 ਠstata identificata una nuova mutazione frameshift nel codone 449 (TTC) nell'esone 2 con delezione di una Timidina. Questa mutazione frameshift ha indotto un codone di stop prematuro nella posizione 461, con conseguente perdita della funzionalità della proteina DAX-1, che potrebbe essere responsabile del fenotipo grave presentato dal nostro paziente. Tale scoperta sottolinea l'importanza della regione carbossi-terminale di DAX-1 nella normale embriogenesi della corteccia surrenale, come mostrato da Nakae et al. (13) ed ਠconforme a numerosi precedenti studi funzionali del DAX-1 in vitro (1, 2). Mentre l'insufficienza surrenalica sembra essere una manifestazione clinica obbligatoria nei pazienti con mutazioni del gene DAX-1, il quadro fenotipico dell'ipogonadismo in pazienti con sindrome AHC-HH ਠmolto variabile. Alcuni neonati possono presentare micropene o criptorchidismo facendo supporre che la secrezione di gonadotropina sia già stata deficitaria in utero (2, 6). Nella maggior parte dei pazienti affetti, al contrario, l'ipogonadismo, non ਠdiagnosticato prima del normale inizio della pubertà e la funzione dell'asse ipotalamo-ipofisi-gonadi ਠpreservata relativamente durante l'infanzia con incremento normale post-natale dei livelli sierici di gonadotropine e testosterone (6, 13) ; ciಠsuggerisce che la funzione dell'asse ipotalamo-ipofisi-gonadi nei pazienti con mutazioni del gene DAX-1 potrebbe peggiorare nel tempo. Nel nostro paziente l'assenza alla nascita di micropene, criptorchidismo, genitali ambigui, ci ha consentito di escludere una deficienza precoce prenatale di gonadotropine. L'iniziale integrità della funzione dell'asse ipotalamo-ipofisi-gonadi ਠstata confermata da un incremento normale dopo la nascita dei livelli sierici di gonadotropine e testosterone, che rappresenta la fisiologica âminipubertà dell'infanziaâ. Il normale sviluppo prenatale di genitali maschili e l'evoluzione normale della minipubertà non sono sufficienti per escludere un'alterazione della funzione dell'asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, che puಠdiventare evidente pi๠tardi al momento della pubertà . La diagnosi molecolare precoce di AHC, dà la possibilità di seguire accuratamente l'evoluzione funzionale dell'asse ipotalamo-ipofisi-gonadi dall'infanzia all'adolescenza e all'età adulta e potrebbe aiutare a prevenire le sequele di una terapia sostitutiva di androgeni ritardata. L'assenza di una chiara relazione tra il genotipo e fenotipo in pazienti con AHC-HH suggerisce che altri fattori epigenetici e non genetici influenzano il decorso clinico dell'AHC. Conclusioni Il caso dai noi riportato afferma che la nuova mutazione frameshift del DAX-1 ਠresponsabile di una forma severa di AHC; anche se in questo caso non ਠstata dimostrata finora un'associazione con l'HH, non si puಠescludere che un'alterazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-gonadi si possa rendere evidente alla pubertà . Bibliografia 1. Chelly J, Marchens F, Dutrillaux B, Van Ommen GJ, Lambert M, Haioun B, Boissinot G, Fardeau M, Kaplan JC. Deletion proximal to DXS 68 locus (Ll probe site) in a boy with Duchenne muscular dystrophy, glycerol alkylase deficiency and adrenal hypoplasia. Hum Genet 1988; 78: 222-227. 2. Muscatelli F, Strom TM, Walzer AP, Zanaria E, Recan D, Meindl A, Bardoni B, Guioli S, Zehetner G, Rabl W, Schwarz HP, Kaplan JC, Camerino G, Meitinger T, Monaco A. Mutations in the DAX-1 gene give rise to both X-linked adrenal hypoplasia congenital and hypogonadotropic hypogonadism. Nature 1994; 372: 672-676. 3. Zanaria E, Muscatelli F, Bardoni B, Strom TM, Guioli S, Guo W, Lalli E, Moser C, Walker AP, McCabe ERB, Meitinger T, Monaco AP, Sassone-Corsi P, Camerino G. An unusual member of the nuclear hormone receptor superfamily responsible for X-linked adrenal hypoplasia congenita. Nature 1994; 372: 635-641. 4. Guo W, Burris TP, McCabe ER. Expression of DAX-1, the gene responsible for X-linked adrenal hypoplasia congenital and hypogonadotropic hypogonadism, in the hypothalamic-pituitary-adrenal/gonadal axis. Biochem Mol Med 1995; 56: 8-13. 5. Caron P, Imbeaud S, Bennet A, Plantavid M, Camerino G, Rochiccioli P. Combined hypothalamic-pituitary-gonadal defect in a hypogonadic man with a novel mutation in the DAX-1 gene. J Clin Endocrinol Metab 1999; 84: 3563-3569. 6. Peter M, Viemann M, Partsch CJ, Sippell WG. Congenital adrenal hypoplasia: clinical spectrum, experience with hormonal diagnosis, and report on new point mutations of the DAX-1 gene. J Clin Endocrinol Metab 1998; 83: 2666-2674. 7. Binder G, Wollmann H, Schwarze CP, Strom TM, Peter M, Ranke MB. X-linked congenital adrenal hypoplasia: new mutations and long-term follow up in three patients. Clin Endocrinol (Oxf) 2000; 53: 249-255. 8. Loke KY, Larry KS, Lee YS, Peter M, Drop SL. Prepubertal diagnosis of X-linked congenital adrenal hypoplasia presenting after infancy. Eur J Pediatr 2000; 159: 671-675. 9. Tabarin A, Achermann JC, Recan D, Bex V, Bertagna X, Christin Maitre S, Ito M, Jameson JL, Bouchard P. A novel mutation in DAX-1 causes delayed-onset adrenal insufficiency and incomplete hypogonadotropic hypogonadism. J Clin Invest 2000; 105: 321-328. 10. Takahashi I, Takahashi T, Shoji Y, Takada G. Prolonged activation of the hypothalamus-pituitary-gonadal axis in a child with X-linked adrenal hypoplasia congenital. Clin Endocrinol (Oxf) 2000: 53; 127-129. 11. Achermann JC, Silverman BL, Habiby RL, Jameson JL. Presymptomatic diagnosis of X-linked adrenal hypoplasia congenita by analysis of DAX-1 J Pediatr 2000; 137: 878-881. 12. Kaiserman KB, Nakamoto JM, Geffner ME, McCabe ERB. Minipuberty of infancy and adolescent pubertal function in adrenal hypoplasia congenital. J Pediatr 1998; 133: 300-302. 13. Nakae J, Tajima T, Kusuda S, Kohda N, Okabe T, Shinohara N, Kato M, Murashita M, Mukai T, Imanaka K, Fujieda K. Truncation at the C-terminus of the DAX-1 protein impairs its biological actions in patients with X-linked congenital adrenal hypoplasia and hypogonadotropic hypogonadism. J Clin Endocrinol Metab 1996; 81: 3680-3685.
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Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology
Anno III numero 2 - aprile 2011 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali
Diagnosi tardiva di sindrome adreno-genitale virilizzante semplice in una bambina di quattro anni Late diagnosis of simple virilising congenital adrenal hyperplasia in a four-year old girl
Silvestro Mirabelli, Sara Bombaci, Stefania Arasi, Federica Porcaro, Fernanada Chiera, Christian Freno, Gilberto Candela, Maria Pia Gangemi, Filippo De Luca Dipartimento di Scienze Pediatriche, Mediche e Chirurgiche, Università di Messina
Abstract Descriviamo il caso di una bambina con clitoridomegalia già presente alla nascita e giunta alla nostra osservazione solo all'età di quattro anni, epoca in cui compariva un pubarca ed ਠstata finalmente posta diagnosi di sindrome adrenogenitale (SAG) virilizzante semplice (VS). In the present study we report the clinical case of girl with neonatal clitoridomegaly and late diagnosis of simple virilising congenital adrenal hyperplasia. Keywords: SAG-VS sindrome adrenogenitale virilizzante semplice; 17 OHP 17-idrossi-progesterone Introduzione La SAG, nota anche come iperplasia congenita del surrene, ਠuna malattia ereditaria che colpisce entrambi i sessi. E' causata da un difetto enzimatico trasmesso geneticamente che riguarda la sintesi di due importanti ormoni: il cortisolo e l'aldosterone, prodotti nelle ghiandole del surrene (1). La prevalenza oscilla tra 1/5.000 e 1/15.000 con incidenza variabile tra i vari gruppi etnici (1, 3). Nella forma pi๠frequente di SAG (circa il 95% dei casi) l'alterazione genetica consiste nel deficit dell'enzima 21-idrossilasi, con conseguente accumulo dei composti intermedi a monte del blocco enzimatico, il principale dei quali ਠil 17 idrossi-progesterone (17-OHP) (1-4). Dal 17 OHP derivano anche gli ormoni sessuali maschili, motivo per cui l'accumulo di 17 OHP comporta un aumento degli androgeni, che puಠindurre virilizzazione, ossia la tendenza, anche per le femmine, ad acquisire caratteri sessuali maschili. Si riconoscono due forme cliniche di deficit dell'enzima 21-idrossilasi: una forma classica ed una non classica (1, 3). Nell'ambito della forma classica, inoltre, ਠpossibile distinguere una forma pi๠grave, detta con perdita di sali, in cui vi ਠun contemporaneo difetto della sintesi del cortisolo e dell'aldosterone ed una, lievemente meno grave, pi๠rara, che presenta una frequenza di 1: 20.000-305.000 nati vivi, detta virilizzante semplice (VS), in cui il deficit riguarda solo la sintesi del cortisolo con una sintesi di aldosterone apparentemente normale (1-4). Caso clinico All'età di 4 anni ਠstata condotta alla nostra osservazione per pubarca precoce la piccola Serena, residente nelle isole Eolie, nata a termine da gravidanza normocondotta ed esitata in TC. PN 3, 600 Kg, LN 51 cm. Già alla nascita veniva segnalata lieve ipertrofia del clitoride, non indagata. Nulla di rilevante da segnalare fino all'età 3 anni e 5/12 epoca in cui comparivano radi peli pubici lunghi e scuri in sede interlabiale, associati ad accelerazione della velocità di crescita ed un progressivo aumento dell'ipertrofia clitoridea. All'età di 4 anni, giunta presso la nostra Clinica, presentava una statura di +1, 8 DS (vs un TG di -0, 8), genitali esterni di tipo ambiguo con clitoridomegalia (3 cm), meato uretrale non evidenziabile (alla minzione si ipotizza la sua localizzazione al di sotto del prepuzio del clitoride), fusione delle grandi labbra, unite in corrispondenza di un rafe che nascondeva l'ostio vaginale e che appariva pervio solo all'estremo posteriore in prossimità della forchetta. Peluria pubica (P2-P3) con peli grossi, lunghi e scuri a prevalente localizzazione interlabiale, in assenza di peluria ascellare e di bottone mammario. L'età ossea appariva avanzata di circa 3 anni e mezzo. Gli esami ematochimici e i test ormonali documentavano: elettroliti sierici nella norma, ipoglicemia a digiuno (58 mg/dl) e grave aumento di androstenedione, diidroepiandrosterone, testosterone e di 17- OHP come si osserva comunemente nella SAG classica VS. I risultati dei principali test endocrini sono riportati dettagliatamente nella Tabella 1. L'ultrasonografia della regione pelvica e surrenalica evidenziava: âUtero di dimensioni e caratteri morfostrutturali normali in relazione all'età (eccetto che per la presenza di sottile rima endometriale in sede mediana), ovaie di dimensioni lievemente superiori alla norma per età (dx 1, 1 cc; sx 0, 9 cc). Non lesioni espansive in sede surrenalicaâ. Alla luce di: - ambiguità dei genitali esterni con genitali interni normoconformati; - importante accelerazione della crescita, della maturazione ossea - anticipazionale del pubarca; - livelli marcatamente aumentati di 17-OHP già in condizioni basali, associati ad aumento dell'androstenedione e del testosterone; - mancata risposta della cortisolemia all'ACTH test veniva posta diagnosi di SAG VS da deficit di 21- idrossilasi, confermata dal riscontro di uno stato di eterozigosi composta Q318X/I172N, all'indagine molecolare del gene CYP 21A2. Veniva, quindi, avviata terapia sostitutiva con idrocortisone, riservandoci un trattamento con analoghi dell'LHRH solo per una fase successiva. Nel frattempo la bambina ਠstata sottoposta con successo ad intervento correttivo di chirurgia plastica. Discussione I soggetti con SAG VS non sono in grado di produrre sufficienti quantità di cortisolo ma sono perfettamente capaci di sintetizzare adeguate quantità di aldosterone e, quindi, di mantenere un corretto bilancio elettrolitico (1, 2). Generalmente la diagnosi nelle femmine viene posta già alla nascita per la presenza di ambiguità genitali; nel maschio affetto, invece, la diagnosi puಠessere ritardata anche di molti anni (1, 3). Solitamente, infatti, nel maschio la diagnosi viene effettuata per lo sviluppo di pubertà precoce con comparsa di pubarca precoce o per la comparsa di una improvvisa accelerazione della velocità di crescita, ad un'età generalmente compresa fra i 2 e i 4 anni. Nella nostra bambina la diagnosi di SAG VS ਠstata posta con ritardo per aver sottovalutato l'importanza della clitoridomegalia, presente dalla nascita, che deve essere sempre considerata come una spia di ambiguità genitale. Dunque, in assenza di screening neonatale la diagnosi di deficit di 21-idrossilasi, puಠessere tardiva non solo nel maschio, come dimostra questo caso. Purtroppo, un ritardo nella diagnosi si associa non solamente ad una minor efficacia della terapia farmacologica ma anche alla comparsa di pubertà precoce vera e, quindi, spesso, ad una condizione finale di bassa statura patologica.
Tabella 1 - Dati ormonali della paziente alla diagnosi di sindrome adreno genitale virilizzante semplice. I livelli di 17-OH-Progesterone e cortisolo sono stai misurati anche in corso di test all'ACTH e quelli di FSH, LH ed E2 anche in corso di test al Decapeptyl Bibliografia 1. White PC, Speiser PW. Congenital adrenal hyperplasia due to 21-hydroxylase deficiency. Endocr Rev 2000, 21: 245-91. 2. White PC, New MI, Dupont B. Structure of human steroid 21-hydroxylase genes. Proc Natl Acad Sci USA 1986, 83: 5111-5. 3. Balsamo A, Cacciari E, Baldazzi L, et al. CYP21 analysis and phenotype/genotype relationship in the screened population of the Italian Emilia-Romagna region. Clin Endocrinol (Oxf) 2000, 53: 117-25. 4. Robins T, Carlsson J, SunnerhagenM, Wedell A, Persson B.Molecular model of human CYP21 based on mammalian CYP2C5: structural features correlate with clinical severity of mutations causing congenital adrenal hyperplasia. Mol Endocrinol 2006, 20: 2946-64.
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Grave aploinsufficienza del gene shox in una bambina nata piccola per l'età gestazionale Severe shox gene haploinsufficiency in a girl born small for gestational age
Silvestro Mirabelli, Sara Bombaci, Maria Rosa Velletri, Maria Pia Gangemi, Christian Freno, Gilberto Candela, Fernanda Chiera, Federica Porcaro, Filippo De Luca Dipartimento di Scienze Pediatriche, Mediche e Chirurgiche, Università di Messina
Abstract Scopo di questo studio ਠdi descrivere un'inedita e peculiare mutazione de novo del gene SHOX in una bambina calabrese con sindrome di Leri-Weill, che non era stata inclusa precedentemente nel database delle varianti alleliche di questo gene. The aim of the present study is to report one additional novel and very peculiar de novo mutation of SHOX gene in a Calabrian girl with Leri-Weill dyschondrosteosis, that is not reported to now in the updated SHOX allelic variant database. Introduzione Alterazioni a carico del gene SHOX sono presenti di regola nella sindrome di Turner, ma vengono riportate anche in alcuni soggetti con bassa statura idiopatica e in molti pazienti con la sindrome di Lery-Weill (LWD), una osteocondrodisplasia con bassa statura mesomelica e deformità di Madelung del polso (1). Per di pià¹, si ਠevidenziato che mutazioni in omozigosi a carico del gene SHOX sono responsabili delle forme pi๠severe, tipo Langer, di nanismo mesomelico. Da un'indagine recente (2) ਠemerso che oltre il 70% delle mutazioni a carico del suddetto gene ਠcostituito da delezioni, una minoranza da mutazioni puntiformi (3). Ad oggi sono incluse 132 mutazioni nel database delle mutazioni puntiformi del gene SHOX sparse in tutta la regione che codifica dall'esone 2 all'esone 6 (4). La peculiarità del caso che prenderemo in esame risiede nel riscontro di una mutazione de novo molto caratteristica, non inserita sinora nel database delle varianti alleliche del gene SHOX. Caso clinico La paziente, una bambina calabrese con sindrome di LWD, unigenita, figlia di genitori non consanguinei, ਠstata inviata presso il nostro Centro di Endocrinologia Pediatrica all'età di 6.9 anni per il riscontro di bassa statura con sproporzioni corporee e deformità di Madelung (radio inclinato, triangolarizzazione dell'epifisi distale del radio e dislocazione dorsale dell'ulna) (Fig.1).
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Anno III numero 2 - aprile 2011 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali
"Megauretere primitivo" in onore del professore gentiluomo
La redazione
Era il 29 ottobre 2008 quando nell'aula magna del nostro Ateneo, il rettore, professor Francesco Tomasello, indirizzಠal decano dei professori dell'Ateneo professor Giuseppe Romeo queste parole: "In un'epoca storica in cui di nuovo i professori universitari vengono definiti baroni, ਠuna gioia salutare un professore gentiluomo ed un Maestro di Chirurgia". Siamo lieti di ospitare in questo sito uno speciale numero della nostra rivista: "Megauretere primitivo", una monografia a cura dell'UOC di Chirurgia Pediatrica. Un prestigioso segno di riconoscenza e un profondo legame che unisce gli allievi al Maestro, ma anche un omaggio alla persona, allo studioso, al professore gentiluomo. "Nel rapporto maestro-discepolo ਠessenziale che l'allievo identifichi nel maestro un modello di comportamento quotidiano, che tocca il senso con cui si affronta la cultura ed il resto della vita..." Umberto Eco
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